Naturismo e buddhismo

di Maria Curti

Naturismo e buddhismo

Leggendo l’interessante libro di Alan Watts (1915-1973), Buddhismo – La religione della non-religione, abbiamo scoperto molti punti di contatto del buddhismo con il naturismo.
Lo studioso inglese, ma americano di adozione, prematuramente scomparso all’età di cinquantotto anni, è stato uno dei maggiori studiosi e divulgatori in Occidente delle religioni orientali.

Premettendo che il naturismo non è una religione, dobbiamo dire che nel libro i punti di contatto del buddhismo con il naturismo ci sono sembrati impressionanti.
Il buddhismo pare abbia avuto origine poco dopo il 600 a.C. nell’India settentrionale, oggi Nepal. Colui che noi conosciamo come il Buddha era in realtà un giovane principe il cui vero nome era Gautama Siddharta. E’ stato grazie a lui che il buddhismo si è sviluppato e diffuso nel mondo orientale. Questo principe indiano, dopo aver praticato per anni l’induismo, trovò le varie discipline che lo componevano assolutamente insoddisfacenti, e ciò per il fatto che enfatizzavano troppo l’ascetismo il quale, per la generalità delle persone, risulta essere impraticabile a causa dell’impossibilità di sopportare le indicibili sofferenze che una scelta di vita del genere comporta. Buddha finì col rendersi conto che la vita dell’ascetismo non poteva funzionare e così nemmeno quella dell’edonismo, che dell’ascetismo è esattamente l’opposto. A questo punto il Buddha trovò la cosiddetta “via di mezzo” tra ascetismo ed edonismo.

Noi naturisti questa “via di mezzo” l’abbiamo trovata nel naturismo. E qui troviamo un primo punto di contatto del naturismo con il buddhismo. Infatti il naturismo, come il buddhismo, non è superficiale visione del mondo, non è ascetismo e nemmeno edonismo, ma equilibrio.

Innanzitutto per capire questa religione non-religione occorre ricordare le diverse visioni che l’uomo ha dell’universo. Il Watts ce lo spiega così:

L’uomo ha tre grandi visioni dell’universo. La prima è quella occidentale che vede il mondo come una costruzione, un manufatto, alla pari di un oggetto fabbricato con l’argilla o con il legno… La seconda è la concezione induista del mondo: ciò che esiste è una recita, un’opera teatrale… La terza è il sistema filosofico cinese che considera il mondo come un organismo, un corpo…

Le religioni orientali si fondano sul dominio della mente sul corpo. Non è una cosa semplice da farsi, e soltanto pochi ci riescono. Indipendentemente comunque dal totale dominio della mente sul corpo, resta il fatto che una persona normale con una buona disciplina mentale è felice anche soltanto quando si abbandona all’abbraccio degli elementi naturali. Insomma, non sembra questa concezione essere in linea con quanto propugnato dall’idea naturista? A noi pare proprio di sì.

Il buddhismo dice che l’uomo desidera sfuggire la realtà per fuggire dalla sofferenza. E un processo mentale, solitamente inconscio, che si concretizza con “il rifiuto della realtà”. Ebbene, come è noto, chi rifiuta la realtà da questa ne sarà sempre terrorizzato. E’ un po’ quello che avviene con la nudità del corpo: chi non ha il “coraggio” di mettersi nudo è perché ha terrore del proprio corpo, e di conseguenza rifiuta la realtà della quale la propria entità fisica fa parte. Il naturismo non è rifiuto della realtà, ma consapevole accettazione della imperfettibilità del corpo. Così come nel
buddhismo, che trasforma la coscienza e la percezione che l’uomo ha dell’io, così il naturismo, mediante la pratica della nudità, ci fa percepire e prendere coscienza della globalità di tutto il nostro essere, inteso come corpo, mente e spirito (o corpo e anima se vogliamo).

Un altro punto di contatto con l’idea naturista lo possiamo rintracciare quando il buddhismo tratta la questione dell’impermanenza. Il buddhismo dice che “i nostri tentativi di rendere le cose permanenti, di voler fissare tutto, ci pongono di fronte a un problema di impossibile soluzione; allora sperimentiamo il duhkha, cioè il senso di sofferenza primaria, di frustrazione, che risulta dal fatto che cerchiamo di trasformare le cose da impermanenti in permanenti“. Ebbene, chi pratica assiduamente la nudità sperimenta sul proprio corpo (e poi in modo estensivo su tutto il resto) l’impermanenza.
Un buon naturista non farà mai nulla per rendere permanente ciò che la natura ha previsto come impermanente. Avere un corpo, infatti, vuol dire essere soggetti all’assalto delle malattie, essere soggetti alle trasformazioni operate dal tempo che trascorre inesorabile, essere soggetti alla morte.

Ovviamente noi non siamo in grado di dire se i primi pionieri del movimento naturista avessero dimestichezza con le religioni orientali, quello che è certo che le loro intuizioni risultano sbalorditive. Per esempio, così come il buddhismo si basa genericamente su ciò che è opportuno e idoneo, così l’idea naturista, entrando più specificamente nel merito, si basa su ciò che è opportuno e idoneo per l’essere umano, su ciò che è opportuno e idoneo per il rispetto dell’eco-sistema natura, su ciò che è opportuno e idoneo per lo sviluppo di una corretta sessualità dell’individuo, su ciò che è opportuno e idoneo per la salvaguardia della vita, ecc.

Naturismo e buddhismo

Per il buddhismo, o meglio per le religioni orientali in genere, scrive il Watts, “noi non siamo stranieri sulla Terra, entrati in questo mondo per un caso fortuito, oppure come spiriti provenienti da qualche parte al di fuori della natura. L’essenza della nostra vita è la totalità dell’energia dell’universo che gioca a essere noi. La realtà immensa, l’energia unitaria che è l’universo si manifesta in tutti i particolari che vediamo attorno a noi.

Questa è l’intuizione principale dell’induismo, del buddhismo e del taoismo“. Di conseguenza, quando noi naturisti diciamo che il corpo umano, oltre che una macchina meravigliosa, è lo specchio dell’universo, ci viene spontaneo far notare un altro punto di contatto del buddhismo col naturismo.

Un altro interessante collegamento l’abbiamo trovato a proposito della consapevolezza, un concetto che a noi naturisti sta molto a cuore, prova ne è che sono state scritte pagine e pagine sul problema della coscienza di Sé. Accettare la propria nudità e quella altrui è infatti avere la piena consapevolezza di se stessi.
Veniamo ad un’altra interessante analogia. Quante volte abbiamo detto che la nudità promiscua in comune di sesso e ti età, oltre a renderci consapevoli di ciò che siamo, sviluppa in noi il cosiddetto senso di solidarietà, cioè quella solidarietà naturista che chi frequenta gli ambienti del naturismo ha potuto con piacere sperimentare. Ebbene, il buddhismo dice che entrare nel “nirvana”, che in Occidente è conosciuto come il paradiso degli orientali, ma che in verità significa “espirare”, vuol dire avvertire la sensazione che non siamo separati dagli altri. E quando noi naturisti siamo nudi in
mezzo agli altri, non ci rendiamo forse conto di non essere separati dagli altri? E questo perché la nudità di accomuna.

Quando il Watts tratta del problema delle imposizioni che l’individuo subisce in tutte le società, a noi è venuto spontaneo pensare all’imposizione dei vestiti nella società tessile. Come la psicanalisi insegna, chi vive sotto il dominio di un’imposizione vive in uno stato di frustrazione cronica, anche quando fin da bambini si viene plasmati dalla società e si è indotti a pensare che sia normale lo stato di perenne vestizione. Questo provoca due tipi di sofferenza: una sofferenza fisica (il corpo soffre stretto in abiti inadeguati e a volte inutili) e una sofferenza psicologica (un malessere interiore che la psicanalisi ben conosce). Il Watts dice “che ciò che si vince reprimendo la propria
umanità e le proprie emozioni non vale il prezzo che si paga. E’ come tagliarsi la testa per curare l’emicrania. Con linguaggio junghiano si può dire che quando si lavora sull’inconscio, quando lo si nutre e se ne ha cura, l’inconscio integra i due aspetti o poteri del Sé e noi prenderemo atto che sia il conscio che l’inconscio fanno parte di noi (i poteri del Sé intesi come il potere dell’io unito con il potere dell’organismo naturale o psiche)
“.

Da ciò ne deriva che, siccome noi abbiamo un corpo fisico, che è quello con il quale ci presentiamo davanti ad un osservatore obiettivo, ed un corpo psichico, che invece rimane celato, il naturismo rappresenta una vera e propria “esplorazione” della nostra coscienza. E il risultato di tale esplorazione risulta evidente soltanto recandosi in un centro naturista ove si assiste al riequilibro di tutta una serie di problemi che affliggono l’uomo tessile (ansia sessuale, aggressività, sovreccitazione erotica, malizia, gelosia sessuale, guardonismo, ecc.). Per cui appare evidente che il modo con cui percepiamo il nostro essere, globalmente inteso, dipende dalla percezione che abbiamo del nostro corpo. E migliore percezione non si può avere se non nello stato di nudità. E questo perché il naturismo, per la sua connotazione nudistica, ha come obiettivo il centro della
nostra consapevolezza.
Insomma, abbiamo trovato il libro di Alan Watts molto interessante perché ci ha permesso di mettere a confronto due filosofie, confermando implicitamente, se ancora ce ne fosse bisogno, che il naturismo è l’unica idea che ha avuto l’intuizione di porre
come presupposto il principio della nudità. Nessun’altra idea l’ha mai fatto e
probabilmente lo farà mai.