Margaux Cassan: “Il naturismo come scelta contro una società ossessionata dal corpo”

da un’intervista di Francesca Ferri su Huffington Post

«L’erba ingiallita che graffia le caviglie. Il sole cocente che ti batte sull’ombelico a mezzogiorno. L’acqua che scorre sui seni e segue le linee dell’inguine, dove le zanzare vengono a mordere di notte. La brezza della sera che asciuga i capelli ancora umidi e accarezza la schiena». Filosofa e scrittrice parigina, Margaux Cassan queste sensazioni le ha provate fin da piccola, quando ogni estate raggiungeva i suoi zii a Bélézy, villaggio naturista ai piedi del monte Ventoux, nel Sud della Francia. Crescendo ha scelto, come altri 2,5 milioni di francesi, un altro modo di vestire il mondo, scelta che racconta in Vivre nu (edizioni Grasset, 216 pagine, 19 euro), a metà tra la testimonianza e il diario intimo, di fatto un invito al viaggio nel mondo del naturismo. Dalle prime comunità libere formate all’inizio del XX secolo, alle utopie degli anni hippy; dal villaggio familiare nel Vaucluse dove ha trascorso la sua infanzia, all’Île du Levant, l’autrice traccia una mappa filosofica e storica di questo movimento, portandoci a riflettere sulla nostra società ossessionata dal corpo.

«La nudità occidentale non è trasparenza e spontaneità, ma piuttosto umiliazione e trasgressione. Umiliazione perché quasi ognuno di noi ha avuto l’incubo di trovarsi nudo davanti a tutti, a scuola o al lavoro. Trasgressione quando la nudità nello spazio pubblico è un reato, come la pubblicazione di un seno su Instagram o una manifestazione di Femen. Quindi se Marianne (la protagonista del celebre dipinto “La libertà che guida il popolo” di Delacroix) ha un seno nudo, non è perché è libera, è un’allegoria di una Francia sognata. Una Francia che non esiste, se non in alcun interstizi». La scrittrice denuncia ipocrisie e contraddizioni di una società falsamente perbenista. «La possibilità di stare nudi collettivamente in spazi naturali, già molto limitata in Europa, sta diminuendo. Abbiamo quindi bisogno di raccontare il naturismo». Perciò Cassan ha deciso di scrivere questo libro, che ha iniziato quando il villaggio naturista dove è cresciuta è stato acquistato da un grande gruppo.

Margaux tiene a ricordare che naturismo non è solo questione di nudità né di nudismo. «Si tratta di vivere nudi, il che è diverso, in uno spazio naturale e in presenza di una comunità che condivide questo stile di vita. In inverno, i naturisti si vestono, certo, ma restano fedeli ai loro valori: accettazione del corpo, senso della comunità, frugalità, ma anche libertà e rivendicazione di una cultura, che si potrebbe riassumere in un’utopia di uguaglianza, tolleranza e sobrietà». Una filosofia che suo zio incarna nella versione originale, infatti rifiuta l’alcol, il tabacco, la carne, i grassi e la moda.
Prima che una scelta di vita, quindi, per Cassan è stata un’abitudine familiare scoperta molto presto. «La prima volta che sono andata in un villaggio naturista avevo due anni, ma i miei primi ricordi vengono dopo, quando all’incirca ne avevo sette. A quell’età potevo scegliere se tenere gli slip, ma non l’ho fatto. Tutti erano nudi, quindi mi sembrava naturale adeguarmi». La libertà iniziava sbarazzandosi rapidamente dei vestiti appena metteva piede nel parcheggio di Bélézy. «La mia nudità ha abbattuto la corazza fisica che mi separava dagli elementi naturali, dagli alti cipressi e dagli animali con i quali vivevo in armonia. Nell’adolescenza, invece, non si guarda più il mondo esterno, ma solo a se stessi e alle proprie imperfezioni. Ed è allora che la nudità diventa un problema. Anche perché si diventa un oggetto del desiderio».

Margaux Cassan "Il naturismo come scelta contro una società ossessionata dal corpo"

È a quell’età che Margaux smette per un periodo di andare a Bélézy, finché a 18 anni non riscopre la naturalezza del corpo nudo. Impara che il problema non è il corpo nudo, ma lo sguardo malizioso sul corpo.
«“Walden ovvero Vita nei boschi” di Henry David Thoreau (Rizzoli) ci ricorda che il ruolo dei vestiti è innanzitutto quello di tenerci fisicamente al caldo e, in secondo luogo, di fornire una copertura sociale. In una mite estate europea, l’unico scopo dei vestiti è quello di nascondere la nostra nudità. E dietro la nudità, cosa nascondiamo? O, al contrario, cosa otteniamo vestendoci? Un personaggio sociale, soprattutto, che ci rassicura, che ci distingue. E ancora, si chiedeva Thoreau: fino a che punto gli uomini manterrebbero i loro rispettivi ranghi se fossero spogliati dei loro vestiti? » Cassan è convinta della risposta: gli abiti costituiscono un marcatore sociale, geografico, di genere ed età.

«Già nel cortile della scuola il modo in cui ti vesti ti permette di entrare in certi gruppi o, al contrario, ti esclude da altri. La nudità invece funziona come un’uniforme: evita la distinzione sociale attraverso l’abbigliamento. Ci permette di ricostruire la società, di parlare con le persone nella loro vera pelle, ignorando i divari sociali e generazionali che ci allontanano». Per le donne poi, i vestiti diventano uno strumento di seduzione nei confronti degli uomini. «Ma questi rapporti di dominazione che spesso determinano il legame sociale, evaporano come per magia quando tutti sono nudi. Andrebbe ricordato più spesso che l’uomo nel suo stato di natura non è un pericolo per nessuno». E infatti Margaux si sente molto più protetta quando è nuda sotto il sole della Provenza che vestita nelle metro di Parigi. «Oggi viviamo un’ipersessualizzazione del corpo e allo stesso tempo la rinascita del puritanesimo: addossando il peso della colpa, del peccato e del sesso licenzioso al solo corpo, si finisce per giustificare la necessità di nasconderlo. Nasconderlo significa accentuare il desiderio associato a ciò che è proibito». In questo circolo vizioso accettiamo il naked dress alle sfilate di moda ma il topless in spiaggia non lo sceglie quasi più nessuno. Perciò «il naturismo recluta sempre meno giovani, la stragrande maggioranza è composta da testimoni attivi del ’68: in pratica oggi il naturismo rimette in scena un’utopia vissuta e passata. Ma per me è anche altro: la gioia di dire ai miei zii che la loro giovinezza esiste ancora attraverso di me».