di Pino Fiorella

Sono stati scritti fiumi di parole sulla distinzione tra nudismo e naturismo, ma aggiungere ancora qualcosa sull’argomento è necessario, anche perché sovente, anzi molto spesso, c’è chi è tentato di scindere in due parti questa filosofia di vita caratterizzata dalla pratica, da un lato, della semplice nudità, e dall’altro dalla pratica di un nudismo etico, cioè naturismo.
In relazione al semplice nudismo, si può dire dire che vi è una scuola di pensiero che afferma che il nudismo sarebbe solo uno degli obiettivi del naturismo. E ciò è anche vero, dato che il naturismo persegue anche altri obbiettivi oltre all’eliminazione del tabù del nudo, come l’igiene psicofisica, il rispetto della natura, l’autoaffermazione, l’autoidentificazione, ecc., ma tale affermazione dimentica di chiarire che la pratica della nudità è il principio cardine del naturismo, e non come invece si sostiene che il naturista, una volta approdato al nudismo, “deve lasciarselo alle spalle o mantenerlo soltanto come fatto piacevole e distensivo per periodi di tempo limitati, essendo poco importante rispetto al cambiamento di visione che il naturismo dà all’esistenza”.
E come se ciò non bastasse, c’è anche chi pretende di liberamente interpretare le delibere della Federazione Naturista Internazionale (INF-FNI) citando l’anno 1953, perché a partire da tale data è stata introdotta la netta distinzione fra il “naturismo nudista” della INF/FNI e un “naturismo non nudista” di altre organizzazioni, interpretando questo fatto come espressione tangibile del “principio di tolleranza”. Ma qui la tolleranza c’entra poco o nulla, perché se si tratta di organizzazioni che non fanno parte dell’INF-FNI è ovvio che possano fare ciò che vogliono, e quindi è evidente che non debbano essere considerate organizzazioni naturiste, come si vedrà più avanti nello spiegare il significato della parola naturismo.
Un lungo dibattito

Tralasciando la lunga sequela di inesattezze, errori storici, interpretazioni sbagliate, considerazioni strampalate, che dimostrano l’estrema ignoranza di chi pretende di sapere senza avere prima letto la storia del naturismo, ci concentriamo sul concetto di nudità che è il cuore dell’idea naturista. E lo facciamo perché regolarmente viene sollevata l’annosa questione che naturismo e nudismo non sarebbero la stessa cosa, per cui questi due termini non sarebbero sinonimi. Inoltre, si afferma che fare del solo nudismo sarebbe banale e che il naturismo dovrebbe essere improntato alla massima tolleranza (preso atto del fatto che stiamo diventando una società multietnica); e ancora, si aggiunge, che le riviste naturiste dovrebbero parlare soltanto di naturismo e invece sono piene di foto di villaggi, centri vacanze, spiagge nudiste, ecc.
Ebbene, se si rispondesse a tutte queste critiche dicendo che si tratta di sciocchezze, di vere e proprie stupidaggini che si fondano sull’ignoranza di cui si diceva sopra, ci verrebbe senz’altro ribadito che non abbiamo argomenti per replicare. Invece gli argomenti ci sono, eccome!
Innanzitutto va precisato subito che fare del solo nudismo non è un fatto banale, e ciò per il semplice motivo che la nudità integrale lascia scoperti gli organi genitali, il che implica l’abbattimento, conscio o inconscio, di un tabù ancestrale, cosa questa che non è affatto banale e che anzi presenta difficoltà estreme di carattere psicologico da parte di un individuo condizionato dal tabù del nudo.
Per quanto riguarda invece il concetto di tolleranza, è necessario chiarire che la tolleranza naturista non può spingersi oltre un certo limite, perché l’accettazione di persone vestite nei centri naturisti, fatti salvi i casi di necessità, igiene e quant’altro rende il vestito necessario, metterebbe in crisi l’idea naturista e la scardinerebbe alla base.
Circa le riviste naturiste c’è poco da dire: che cosa si vorrebbe che queste facessero, oltre a pubblicare notizie e articoli di cultura naturista, se non la pubblicità ai centri naturisti, pardon “nudisti”, come dicono questi contestatori che accusano i centri di favorire soltanto la pratica del “semplice nudismo”, fra l’altro cosa non vera, trattandosi di nudismo comunitario e promiscuo.
Per rispondere a tutti questi quesiti non si deve far altro che prendere in esame la prima contestazione (dato che le risposte alle altre sono implicite nel discorso che segue), e cioè che naturismo e nudismo non sarebbero la stessa cosa. Ebbene, per spiegare che invece i due termini indicano la medesima cosa, e quindi di fatto sono sinonimi, è necessario fare un passo indietro nel tempo per tornare alle origini del naturismo.
Cenni storici

La “gimnosofia” (gymnos=nudo – sofia=saggezza) è nata nel 1926, anno della fondazione della rivista francese “Vivre d’Abord”, mentre il termine “naturismo” esisteva già prima della gimnosofia. Detto ciò, occorre dire che pochi allora avevano il coraggio (per esempio in Italia, dove eravamo in pieno regime fascista) di parlare apertamente della connotazione nudista implicita ed essenziale del naturismo. E per spiegare questo fenomeno è necessario rifarsi alla storia del naturismo in Europa.
Ricordiamo che all’epoca della nascita del movimento naturista il sentimento di assoluta e preconcetta ripulsa nei confronti della nudità era il frutto di una sorda e ottusa mentalità borghese di vittoriana memoria. Per questo motivo, cioè per non urtare quella mentalità, Marcel Kienné de Mongeot, fondatore del movimento naturista francese, preferì adoperare il termine “gimnosofia”, che ovviamente nessuno conosceva, dietro il quale però si celava la parola “nudismo”. E per chiarire ulteriormente il concetto, Kienné de Mongeot citava il dottor Fougerat de Lastours, assertore convinto della pratica ginnica, che sosteneva come il termine “nudismo” avesse un significato peggiorativo, se non equivoco, e in certi casi addirittura licenzioso.
Pertanto la “gimnosofia” altro non è che “nudismo” a cui, però, è stata contemporaneamente associata una filosofia di vita e un etica nuove. A questo duplice aspetto della “nuova idea”, cioè nudismo e vita naturale (e quindi nudo-naturismo”), è stato dato il nome di “naturismo”. Di conseguenza affermare che naturismo e nudismo non sarebbero la stessa cosa significa dire nient’altro che una sciocchezza, una stupidaggine dettata dalla non conoscenza della storia delle origini del naturismo e della sua evoluzione nel tempo.
Comunque, rispetto a queste posizioni non mancarono i dissidenti, come, per esempio, Jean Deste, che nel suo libro “Le Nudisme” (1981), non volle di proposito abbandonare la dizione “nudismo”, pur conoscendo la definizione ormai affermata di “naturismo” adoperata al posto di “nudismo”: una diatriba che avrebbe poi portato al termine forse più corretto di “nudo-naturismo”, cioè di quell’insieme di regole che orientano l’individuo verso una vita più naturale e più sana, dalla quale la nudità non può essere bandita per il suo potere taumaturgico in relazione a conflitti psichici irrisolti. Inoltre, va ricordato ch’erano i lontani anni Sessanta quando in Francia il termine “nudisme” veniva cancellato e sostituito con quello di “naturisme”, anche perché ci si era resi conto che le parole “nudismo” e “nudista” erano spesso, come detto, male interpretate. Il Deste era consapevole di questo fatto quando nel 1981 pubblicò il suo libro, ma lo fece per non farci dimenticare che il naturismo è nudismo. Se poi qualcuno continua a sostenere che naturismo e nudismo sono due cose diverse, si prenda la briga di andare a leggersi il volume “L’idea naturista in Francia” di Daniele Agnoli dove scoprirebbe che il naturismo, inteso nella sua completa implicazione nudistica, era già chiaro all’atto della fondazione della Féderation Français de Naturisme nel 1948 e dell’INF/FNI avvenuta nel 1953.
E anche i tedeschi successivamente si sarebbero uniformati a questa dizione sostituendo il termine “Nacktkltur” (cultura della nudità), coniato da Henrich Pudor (1865-1943), con “Freikorperkultur” (libertà e cultura/civiltà del corpo libero) da cui ne è derivata la sigla internazionale FKK, che oggi purtroppo viene anche usata per finalità non naturiste.
Un altro principio controverso è quello della nudità “obbligatoria”, una polemica che ha radici lontane e che i detrattori del naturismo definiscono come una posizione fondamentalista. Già nel 1989 Erik Holm lanciava la sua filippica contro il nudo facoltativo con il suo opuscolo “Quo vadis Fkk?”: “Mi limito a dire che la nudità del corpo umano è la peculiare caratteristica che contraddistingue il nostro movimento, unico a propugnare questa condizione – naturale e culturale insieme – dell’uomo. Senza di essa il nostro movimento perderebbe, oltre alla sua credibilità, la sua stessa ragione d’essere”.
Anche Jorg Damm, figlio del noto pioniere Karwilli Damm, fondatore della Biblioteca Naturista Internazionale, si è pronunciato sulla pericolosa tendenza al permissivismo tessile che sta insinuandosi nei centri naturisti. Jorg Damm esprime il suo disappunto constatando come tanti ritengano che si possa fare dello sport vestiti o parzialmente vestiti, e che i giovani possano essere autorizzati a portare un costume quando si trovano nell’età della pubertà. Accettare questi comportamenti, dice il Damm, significherebbe imboccare una strada molto pericolosa, in
quanto questi comportamenti finirebbero con l’incrinare nella sua essenza l’idea naturista che,
in questo modo, s’incamminerebbe sulla strada di un’errata interpretazione del concetto di tolleranza. Questa interpretazione pretenderebbe di ridurre la pratica nudista a pochi momenti, quali prendere di sole, fare una nuotata in piscina, fare la doccia, ecc.
Questo problema della nudità integrale non vincolata, o condizionata, è stato sollevato anche dalla Federazione Naturista Tedesca nel 1993, che attraverso una mirata inchiesta ha voluto conoscere l’opinione dei naturisti su questa delicata questione. Ebbene, la maggioranza dei naturisti si è espressa in senso favorevole alla nudità integrale nello sport e nelle cosiddette strutture di servizio (negozi, bar, ristoranti, supermercati, posta, ecc.). Insomma, il mondo naturista, o perlomeno la maggioranza, ritiene che la nudità debba essere una esperienza globale il cui motto dovrebbe essere nudità sempre in qualunque luogo, ovviamente sempre con decoro, ordine, pulizia e con le dovute precauzioni igieniche.
E in Italia?
Anche in Italia, nel 1981, infuriò la polemica su chi voleva differenziare il nudismo dal naturismo. Il problema era stato sollevato dal dottor Luciano Pecchiai con uno scritto indirizzato al “Corriere Medico”. La risposta della rivista “Naturismo”, era stata però ineccepibile:
“Il Pecchiai fa un duplice errore escludendo il nudismo come parte essenziale del naturismo: un errore storico ed un errore ideologico. L’errore storico consiste nell’identificare la figura di Lamberto Paoletti (1881-1954) con la nascita del naturismo italiano nel 1930. In realtà il Paoletti non è stato il primo a parlare di naturismo in Italia, perché già l’avevano fatto i triestini Tullio Cordon (1923), Eugenio Paulin ed Ernesto Gorischegg (1927). L’errore ideologico, invece, consiste nell’estrapolazione del naturismo italiano dal suo contesto internazionale. Infatti, chi ha avuto il merito di avere concepito autonomamente la prassi fondamentale del naturismo nudista, ha potuto dare consistenza scientifica alla propria intuizione soltanto dopo aver letto le pubblicazioni alcuni dei più validi e autorevoli esponenti del naturismo internazionale (Ungewitter, Seitz, Kock, Zimmermann e il de Mongeot)”. Come giustamente ha scritto Daniele Agnoli, “spesso e volentieri ci si dimentica che l’idea naturista è l’unica fra tutte le visioni antropologiche del mondo che oggigiorno ponga come sua premessa e suo momento essenziale lo stato di nudità del corpo umano”.