Socialità naturista

di Pino Fiorella

Socialità naturista
Beryl Cook, Té in giardino

Con questo articolo concludiamo un trittico di articoli dedicati all’impatto del Covid-19 sullo stile di vita naturista, iniziato ad aprile con Nutrirsi con amore durante la quarantena e proseguito la scorsa settimana con Naturismo di prossimità.

C’è una bella canzone di Levante, dal titolo “Lo stretto necessario” (forse premonitrice di quello che di lì a poco sarebbe accaduto all’umanità intera), che la cantautrice siciliana canta insieme a un’altra siciliana doc, Carmen Consoli. La canzone è un emozionante racconto di speranza per tutto quello che circonda, per qualcosa che prima c’era e adesso non c’è più, anche quelle piccole cose che davamo per scontato.
Tralasciando il lontano passato, dal secondo dopoguerra in avanti l’umanità ha avuto molti problemi, con centinaia di migliaia di morti. Uno di questi problemi è l’inquinamento, prodotto da una dissennata attività antropica, con i conseguenti cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo il pianeta.

Ora è arrivato questo virus, un microrganismo molto, ma molto più piccolo di un batterio, tanto è vero che per vedere i batteri basta un microscopio ottico, per vedere i virus occorre un microscopio elettronico. Un virus per riprodursi ha bisogno di un organismo vivente, come un animale, in questo caso un pipistrello. Secondo la scienza, il Covid-19 ha fatto il salto di specie, e dal pipistrello è passato all’uomo.
Ora, dire che questo virus è colpa dell’uomo (dell’inquinamento, di manipolazioni genetiche, dell’introduzione degli Ogm, dell’uso degli antiparassitari, ecc.), forse è troppo azzardato, dato che epidemie terribili ci sono state anche in passato. Un esempio per tutte, la Spagnola, che durò un paio di anni e causò la morte di 100 milioni di persone, 50 milioni solo in Europa.

E a quei tempi i problemi d’inquinamento, di manipolazioni genetiche, ecc. erano di là da venire, anche se non sappiamo quali strascichi di ogni tipo (mancanza d’igiene, bombardamenti, l’uso di gas tossici, migliaia e migliaia di aerei e di navi affondate in tutti i mari, ecc.) la prima guerra mondiale si sia trascinata dietro per anni.

Fatto sta che oggi un nuovo virus, invisibile, sconosciuto e terribile ha spazzato via come uno tsunami le nostre incrollabili certezze, ha cambiato tutto, ha cambiato il nostro modo di vivere, è cambiata la nostra vita. Tutto quello che davamo per scontato è svanito nel nulla, tutte le nostre certezze sono crollate, e quella società liquida, descritta da Baumann nel suo celebre libro “Vita liquida” del 2005, è evaporata come i disinfettanti che abbiamo visto spruzzare per sanificare strade e ambienti. Tutto è stato inghiottito da un buco nero di cui l’umanità non vede il fondo, almeno fino a quando non ci sarà un vaccino, per il quale si parla di un anno o due, e quand’anche arrivasse presto, ci vorrà molto tempo per vaccinare più di sette miliardi di persone. Insomma, questo virus ci ha fatto capire che l’uomo non può nulla contro le forze della natura. E non solo, ma spingendoci più in là, pur sapendo che quanto stiamo per dire va contro il razionalismo scientifico della medicina moderna, sembra che la natura, troppo sfruttata, non rispettata, violentata, attraverso il Covid-19, dopo averci lanciato precisi segnali sulla insostenibilità della nostra attività antropica, abbia voluto dirci: “Non volete fermarvi, allora vi fermo io”.

Tornando ad un ragionamento decisamente più razionale, un effetto sull’umanità, fra gli altri, il virus l’ha prodotto: la paura, una paura generalizzata in certi casi trasformatasi in terrore. Ce l’aveva anticipato Zygmunt Bauman in una delle preveggenti riflessioni: “La guerra moderna alle paure umane, sia essa rivolta contro i disastri di origine naturale o artificiale, sembra avere come esito la redistribuzione sociale delle paure, anziché la loro riduzione quantitativa”.

Ebbene, fra tutto quello che ci è venuto a mancare, come dicevamo sopra, ci sono mancate anche le piccole cose, le piacevoli abitudini, la libertà di sedersi ai tavoli di un bar, il vedere brulicare le persone per strada, l’incontro con amici e conoscenti, tutte cose che si rimpiangono quando non si hanno più. Per noi naturisti, poi, la situazione venutasi a creare nei rapporti umani è ancora più grave. Immaginare un futuro condizionato dalle mascherine e dalla distanza significa dire addio a quella socialità naturista, fatta di prossimità, promiscuità, di vedersi, di salutarsi e parlare di persona. Questo tipo di socialità nasce soltanto dal rapporto stretto fra persone nude, perché si tratta di frequentare altri individui che la pensano come noi. Si tratta di quella socialità che scaturisce dal vivere insieme nudi, rispettosi degli altri. Si tratta di una socialità che è tipica della nostra concezione di vita. Noi naturisti accettiamo la natura, e dalla sua osservazione facciamo derivare il nostro comportamento. Siamo contro lo spreco e cerchiamo di vivere con “lo stretto necessario” (tutto il resto, come la sociologia insegna, deve essere considerato “l’utilità dell’inutile”). Ma la società dei consumi ha trasformato i produttori in consumatori, come dice Bauman. E questo il naturismo lo aveva detto fin dalle sue origini.
Purtroppo il naturismo non è stato ascoltato, o forse, noi, non siamo stati capaci di trasmettere un messaggio, che se fosse stato recepito, avrebbe senz’altro migliorato le nostre condizioni di vita. Perché Il naturismo, che consiste in una relazione attiva fra l’uomo e la natura, ha come componente essenziale il rispetto, quel rispetto di se stessi, degli altri e della natura, come mille volte abbiamo scritto su queste pagine, riprendendo la formulazione del concetto di naturismo espressa dall’INF/FNI nel 1974.

In conclusione, quello che ci è accaduto con il Covid-19 dovrebbe far riflettere quanti dileggiano il naturismo, considerandola tutt’al più come una pratica di libertà, e basta.