Le 4 leggi dell’ecologia

Ecologia - Barry Commoner

Cinquant’anni fa, nel 1971, usciva il libro “Il cerchio da chiudere: la natura, l’uomo e la tecnologia” di Barry Commoner (1917-2012), biologo ed ecologo statunitense, professore universitario di fisiologia vegetale, uno dei primi studiosi ad applicare un approccio scientifico ai problemi ambientali. In questo libro, testo fondamentale della moderna ecologia, Commoner formulò quelle che da allora vengono chiamate “le quattro leggi fondamentali dell’ecologia”.

Prima legge: Ogni cosa è connessa con le altre

L’ambiente costituisce una macchina vivente, immensa ed estremamente complessa, che forma un sottile strato dinamico sulla superficie terrestre. Ogni specie vivente è collegata con molte altre.
Questi legami stupiscono per la loro varietà e per le loro sottili interrelazioni.

Tutte le specie, animali e vegetali, sono in un rapporto di interdipendenza tra loro. Ciò che influenza un organismo vivente ha effetto a cascata su tutti gli altri esseri viventi.
Ad esempio, senza la fotosintesi delle piante non disporremmo di ossigeno.
E senza l’azione sinergica delle piante, degli animali e dei microorganismi che vivono nel laghi e nei fiumi non potremmo avere acqua pulita.
L’uomo col suo inquinamento altera ogni giorno questo ciclo naturale degli eventi, sottoponendolo prima o poi a un carico eccessivo che lo fa collassare. È quanto sta accadendo ai nostri giorni.

Seconda legge: Ogni cosa deve finire da qualche parte

In ogni sistema naturale, ciò che viene eliminato da un organismo, come rifiuto, viene utilizzato da un altro.

Nei sistemi naturali nulla scompare, ogni sostanza si trasferisce da un luogo all’altro.
In natura tutto si trasforma, non ci sono rifiuti. Ciò che viene scartato da alcuni diviene risorsa per altri: è il ciclo della vita. Si ha semplicemente un trasferimento della sostanza da un luogo all’altro, una variazione di forma molecolare che agisce sui processi vitali dell’organismo del quale viene a fare parte per un certo periodo di tempo. Questi cicli vitali permettono il recupero degli elementi chimici che circolano tra l’ambiente e gli organismi viventi.
Ma da circa due secoli, con la rivoluzione industriale, si sono moltiplicate sostanze e prodotti. Di alcune sostanze al principio non conoscevamo tutti gli effetti, solo in seguito abbiamo scoperto che avevano gravi e incontrollate conseguenze per gli habitat e gli esseri viventi. Inoltre, l’enorme incremento dei rifiuti dell’attività industriale e commerciale umana, la corsa al consumo e allo scarto, rende sempre più difficile reinserire questi scarti nel ciclo della materia, nonostante tutti i progressi ottenuti negli ultimi anni dalla filiera del riciclaggio.

Terza legge: La natura sa meglio di chiunque come fare

Sono quasi sicuro che questo principio incontrerà notevole resistenza, poiché sembra contraddire la fede universale nella competenza assoluta del genere umano

Commoner introduceva la terza legge dell’ecologia, che invita esplicitamente l’uomo a non essere così pieno di sé, e a non usare la natura come se potesse renderla a suo indiscriminato servizio.
Tutti i grandi cambiamenti apportati dall’uomo in un ambiente naturale rischiano di essere dannosi per il sistema stesso.
E se la natura si ribella, l’uomo crolla.

L’aumento della popolazione mondiale a ritmi insostenibili – 80/100 milioni l’anno – e la crescita dei bisogni e, quindi, dei consumi dimostrano ampiamente l’equazione che venne presentata allora, che si può sintetizzare con la frase “l’impatto ambientale è la conseguenza del numero della popolazione, moltiplicato per la quantità di merci e servizi usati, e la tecnologia in uso.”

I= P x A x T

Dove I rappresenta la quantità di impatto ambientale (espresso in qualsiasi misura, ad esempio co2, piombo, particolato), P è il numero di persone, A è la quantità annua di merci e servizi per persona (ad esempio, numero di pasti, autovetture o cellulari) e T è la quantità di tecnologia inquinante per unità di merce (di qualsiasi genere).

I = P × A x T è la notazione matematica di una formula proposta per descrivere l’inquinamento umano sull’ambiente in funzione di tre fattori : popolazione (P), quantità di merci (A) e tecnologia (T).

Immaginiamo di semplificare una misura del degrado ambientale sotto forma della quantità I di
agenti inquinanti, misurati come quantità fisica, per esempio tonnellate, milioni di tonnellate,
immessi ogni anno nell’ambiente dalla popolazione del pianeta.
Indichiamo con P la popolazione mondiale complessiva e con A la quantità di beni materiali usati da ciascun individuo, espressa, per semplicità, in tonnellate per individuo all’anno. Indichiamo, infine, con T una misura della qualità tecnica delle merci, espressa come kg di agenti inquinanti associati alla produzione e al consumo di un kg di beni materiali o merci.
L’inquinamento totale risulta dal prodotto della popolazione per la quantità di merci usata da
ciascun individuo, per la potenza inquinante di ciascun prodotto.

Nonostante l’apparente semplicità dell’impostazione, Commoner va a toccare alcuni problemi delicati dell’ecologia e dell’economia. La qualità delle merci e dei servizi non dipende dal valore monetario, ma da un indicatore T che comprende la quantità di risorse estratte dalla natura e la quantità di energia necessaria per produrre una unità di merce, indicatore che potremmo quindi chiamare “costo naturale” e “costo energetico” delle merci, e la quantità degli agenti inquinanti o una qualche misura dell’erosione ambientale associate alla produzione e al consumo di una unità di merce, una grandezza che potremmo chiamare “costo ambientale” di ciascuna merce.

Varrà così, indipendentemente dal suo valore monetario, di più una merce o un servizio quanto più basso è il suo costo naturale, energetico, ambientale, ovvero quanto più basso è il valore T, che dipende da scelte tecniche di progettazione, dai materiali più o meno riutilizzabili, più o meno inquinanti, dalla durata del manufatto.

Per abbassare il valore T, al fine di diminuire l’inquinamento globale I, occorre riesaminare ciascuna merce, o macchina, o oggetto, per vedere come è fatta, con quali materie, e dove va a finire, come si trasforma, come ritorna nell’ambiente. Non è un caso che sia stato un biologo, una persona abituata a trattare la circolazione della materia e dell’energia dalla natura, agli esseri viventi, e di nuovo alla natura, ad estenderne i principi alla circolazione della materia e dell’energia dalla natura alle merci, agli oggetti trasformati dalla tecnica, e poi di nuovo alla natura.
Commoner spiega bene che una trasformazione della tecnica nella direzione di una diminuzione del costo naturale, energetico o ambientale delle merci è tutt’altro che indolore.

Quarta legge: Nulla è a costo zero

In ecologia, come in economia, non c’è guadagno che possa essere ottenuto senza un certo costo.
Non si può evitare il pagamento di questo prezzo, lo si può solo rimandare nel tempo. Ogni cosa che l’uomo sottrae a questo sistema deve essere restituita. L’attuale crisi ambientale ci ammonisce che abbiamo rimandato troppo a lungo.

E il prezzo da pagare per la nostra insipienza sarà elevato, come dimostrano le crisi epocali che siamo chiamati ad affrontare oggi: migrazioni, impoverimento, riduzione delle terre coltivabili, cambiamenti climatici.
A lungo i sistemi produttivi hanno pensato a produrre e basta, senza preoccuparsi delle conseguenze. Ora siamo costretti a fare i conti: il prezzo del nostro benessere è stato spesso costruito a scapito delle risorse naturali del Pianeta.

Con “Il cerchio da chiudere” Commoner ci ha chiaramente spiegato come la causa della crisi dei rapporti tra uomo e natura sia da ricercare nello sfruttamento di risorse naturali scarse, per produrre, con processi inquinanti, merci inquinanti. Mentre in natura i cicli biologici e la geochimica sono sempre in equilibrio e sempre si chiudono, a seguito di errate scelte tecnologiche umane i cicli naturali restano aperti, con l’impoverimento delle risorse, a partire dall’acqua, e la conseguente crisi ecologica ed economica del nostro pianeta.