
Nell’agosto dell’anno scorso l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite nato nel 1988) ha tenuto a Ginevra la sua cinquantesima sessione, dalla quale è nato il rapporto “Climate Change and Land”, un lavoro di ricerca condotto da 107 esperti di 52 Paesi, con il 53% degli scienziati che vi hanno preso parte provenienti dalle nazioni meno sviluppate, quelle che più stanno conoscendo in prima persona, sulla propria pelle, gli effetti del sovrasfruttamento delle risorse terrestri e del cambiamento climatico.
Il cuore del rapporto questa volta non sono stati i dati relativi alle temperature in sé per sé, quanto invece i temi della sostenibilità, dello sfruttamento delle risorse, dei gas serra, della produzione e dell’accesso al cibo, e il loro impatto sui cambiamento climatici.
Prima di questo, c’era stato un altro rapporto IPCC dell’ottobre 2018 che aveva constatato come il riscaldamento indotto dall’uomo rischi di superare la soglia del grado e mezzo entro il 2040 se le emissioni dovessero continuare al ritmo attuale, con buona pace del limite dei 2 gradi sbandierato al Cop21 a Parigi nel 2015.
Quanto emerso a Ginevra non fa altro che confermare la tendenza, e di conseguenza l’urgente bisogno di intervenire per scongiurare il peggio.
Agricoltura, allevamenti e altri tipi di attività forestali rappresentano da soli il 23% delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo. Dal 1960 il consumo di calorie pro capite è aumentato del 30% circa, quello di carne è in pratica raddoppiato. L’uso di fertilizzanti chimici è aumentato di nove volte, e le aree naturali convertite in agricoltura sono quasi 5,5 milioni di kmq, con un conseguente consumo idrico per l’irrigazione pari al 70% del consumo umano totale di acqua dolce. Inoltre, lo spreco alimentare pro capite è aumentato del 40% e corrisponde attualmente al 30% circa del cibo prodotto, che contribuisce al 10% delle emissioni di gas serra da parte del sistema alimentare.
Più del 40% della superficie terrestre è coltivata o urbanizzata, e meno del 23% può essere considerata “area naturale”. Metà delle foreste non coltivate si è perso, nell’area tropicale la perdita di aree forestali si è triplicata in dieci anni. Circa un milione di specie animali o vegetali è a rischio estinzione.
È evidente dunque che l’uomo debba cambiare il modo in cui genera ciò che gli serve per sopravvivere, così da permettere la sopravvivenza anche alla sua unica casa, il Pianeta.
Una gestione sostenibile delle risorse del territorio può infatti contribuire a contrastare i cambiamenti climatici, ma occorre agire tempestivamente e su scala globale per invertire la tendenza attualmente in atto. Al momento, il mondo è sotto attacco climatico, basti vedere come si susseguono incessantemente episodi ormai continui e diversi tra loro: scioglimenti dei ghiacci (Groenlandia), incendi (Siberia), bombe d’acqua (Italia e Balcani), picchi anomali delle temperature (Francia). E il futuro per ora non ci sorride.
Circa 500 milioni di persone vivono in aree soggette a desertificazione. Le terre aride e le aree che subiscono la desertificazione sono anche quelle più vulnerabili ai cambiamenti climatici e agli eventi estremi tra cui siccità, ondate di calore e tempeste di polvere, con una popolazione globale in aumento che fornisce ulteriore pressione. Lo scenario apocalittico è che determinate aree del mondo tra qualche anno non saranno più abitabili, dando il via a un fenomeno di migrazione climatica: oltre 140 milioni di persone saranno costrette a spostarsi entro il 2050, causando gravi squilibri, accentuando le disuguaglianze già esistenti e mettendo a rischio la stabilità dei sistemi politici.
In questo scenario, produzione e accesso al cibo, giocano un ruolo centrale.
La sicurezza alimentare infatti per l’IPCC è a rischio, perché il climate change sta influendo su resa e produzione di cibo, accesso in termini economici e stabilità, ovvero il poter produrre e distribuire alimenti con continuità e senza interruzioni.
Alcune diete richiedono un maggiore sfruttamento del territorio e delle risorse idriche, causando dunque più emissioni di gas che intrappolano il calore rispetto ad altre. Al contrario, diete bilanciate con alimenti a base vegetale –cereali, frutta, legumi, verdura e in generale alimenti di origine animale prodotti in modo sostenibile in sistemi a basse emissioni di gas a effetto serra – aiuterebbero non poco, se adottate, a contenere il cambiamento climatico.
In generale, il messaggio lanciato a Ginevra è chiaro. La terra è satura, determinati sistemi di sfruttamento e allevamento la stanno uccidendo. Bisogna agire in fretta, provvedendo alla riforestazione, a ristabilire gli ecosistemi, a garantire la biodiversità: la complessità ecologica del Pianeta si sta riducendo.
La Terra è sovrasfruttata. Ma la stessa Terra può aiutarci a ristabilirci.
Dipende da noi, dai nostri comportamenti. Teniamolo bene a mente e adoperiamoci, prima che sia troppo tardi.