
L’ing. Nino Monge fu nel 1964 tra i fondatori dell’U.N.I., Unione Naturisti Italiani. Frequentatore, insieme alla moglie Delli, dell’Ile du Levant già negli anni ’50 del secolo scorso, aveva avuto il suo “battesimo” naturista addirittura negli anni ’30, gli anni di Lamberto Paoletti e del suo libro “Naturismo, arte del vivere”, quando in Italia di nudismo proprio non si poteva neppure parlare, figuriamoci praticarlo. Eppure già allora c’erano dei coraggiosi pionieri, ai quali prima o poi dedicheremo un articolo.
Riportiamo alcuni stralci di una sua testimonianza pubblicata nel 2002 in altra sede, relativa a una sua esperienza naturista: siamo nell’estate 1937, quando Nino Monge aveva nove anni e si trovava in vacanza in Liguria, tra Alassio e Laigueglia. Non fu la prima per lui, ma fu quella più rilevante e rivelante.
Fui attratto dalla nudità del corpo fin dalla più tenera età. Mio padre, pur se poco o punto religioso (come del resto la mamma), era un rigido moralista che rifiutava a priori ogni discorso su argomenti “scabrosi” che riteneva tabù assoluti, senza possibilità di replica. È chiaro che in queste condizioni, anche dopo aver ampiamente raggiunto l’età della ragione, essermi laureato (ingegneria come lui), sposato e resomi indipendente con il lavoro, persisteva sempre difficile, se non impossibile, il discorso sul naturismo.
Con la mamma tutto era più semplice: “se a loro –diceva- piace così, visto che sono d’accordo e che in definitiva non fanno male a nessuno, rispettiamone le idee.”
Per un ragazzo che fin verso i nove, dieci anni sia cresciuto in un ambiente assolutamente bloccato per quegli argomenti, senza sostanziali apporti dall’esterno, né termini di riferimento che non fossero divieti e tabù derivanti dall’etica cattolica, la sola possibilità di avvicinarsi al Naturismo non poteva essere che attraverso l’interpretazione personale delle pulsioni che gli provenivano dalla propria sessualità durante tutto il suo ciclo di sviluppo, integrate progressivamente da una precoce attrazione per la natura.
La natura e l’aria aperta, fin dalla più tenera età, avevano esercitato su di me un fascino particolare: il mare, il lago, con le loro spiagge solatìe; la campagna, con i suoi boschi ombrosi densi di profumi misteriosi, i suoi prati incontaminati con i loro fiori e i suoi frutti variopinti; i suoi torrenti discendenti dalle montagne alpine dalle nevi perenni; gli animali al pascolo, i paesaggi godibili dalle cime più alte, i magnifici tramonti. Alla sera, nel letto, prima di addormentarsi, immaginavo come avrebbe potuto essere bello e libero un mondo dove, in questa splendida natura, tutti gli umani non avessero problemi di vestiti e vivessero sempre, semplicemente, nudi. Fu così che diventai un nudista in potenza, per lo meno fino a quando non potei fare qualche esperienza concreta.
Nel 1937, i miei, visto che avevo manifestato un insospettato interesse per l’acqua e gli sport acquatici, stabilirono che saremmo andati nei mesi di luglio e agosto al mare, ad Alassio, con lo stabilimento balneare quasi al limite del comune di Laigueglia. Quell’estate mi divertii un mondo! Avevo imparato a nuotare bene con una certa sicurezza, e mi ero fatto parecchi amici con i quali giocavamo tutto il giorno, sia sulla spiaggia che in acqua.
Tra le amichette ce n’era una di nome Roberta, anch’essa torinese, che mi piaceva particolarmente e che aveva una mamma molto interessante: innanzi tutto era più giovane della mia di almeno sette-otto anni; era un tipo biondo-naturale, ma con la pelle non troppo chiara, che si abbronzava facilmente, assumendo un colore dorato. Aveva un corpo ben modellato, atletico e un temperamento sportivo, moderno: in poche parole, più vicino a noi ragazzi, sia come mentalità che come attività. Quasi tutti i giorni prendeva un
moscone (un pattìno) e se ne andava al largo con la figlia e una turba di ragazzini vocianti, amici della figlia, tra i quali m’infilavo anch’io non appena possibile. “Al largo” voleva dire qualche centinaio di metri dalla riva, ma dove l’acqua arrivava a una profondità di appena tre-quattro metri.
Al sabato e alla domenica, quando arrivavano i papà, la famigliola di Roberta partiva da sola con il moscone e andava veramente al largo, fin dove l’occhio nudo non poteva più arrivare. La loro gita era particolarmente lunga e, se le condizioni del mare lo consentivano, ritornavano a pomeriggio inoltrato dopo aver fatto uno spuntino in mezzo al mare a base di sandwich e aranciata. Nel corso della settimana, invece, le uscite in mare riprendevano con tutta la turba dei frenetici vocianti: ci tuffavamo per andare a raccogliere qualche conchiglia o una manciata di sabbia, per dimostrare la riuscita dell’immersione. E lo stesso faceva la mamma di Roberta, che in questo modo ci sorvegliava, giocando con noi. Conosceva ogni tipo di nuoto, ma dove primeggiava era nel crawl, tentando di insegnarlo anche a noi ragazzi. Devo dire che ero tra i suoi migliori allievi, poiché avevo acquistato un’ottima acquaticità e non avevo alcun problema a
mettere la testa sott’acqua, sincronizzando la respirazione e tenendo sempre gli occhi aperti per non andare a sbattere contro qualche ostacolo improvviso.
La mamma di Roberta indossava uno straordinario costume da bagno nero di foggia inusuale a quel tempo, detto “olimpionico”, in quanto simile a quelli indossati dalle nuotatrici sportive di professione, che le consentiva la massima libertà di movimento: all’inguine era molto sgambato, come quelli che usano oggi, per intenderci; nella parte superiore terminava sul davanti con una generosa scollatura a V, la schiena era quasi totalmente scoperta. Tutta questa morbida architettura era sostenuta da due spalline filiformi che si incrociavano sul retro, terminando su due bottoni automatici di metallo alle due estremità superiori della V sul davanti. Questo costume scatenava la riprovazione generale delle signore benpensanti che frequentavano la spiaggia.
Un pomeriggio, sul tardi (a volte si stava in spiaggia fin verso le sette), con un mare di olio, la mamma di Roberta, passando accanto al nostro ombrellone, mi invitò a uscire sul moscone con la figlia: quella volta andammo più al largo del solito, sotto di noi ci saranno stati sette o otto metri di fondo.
Un’esperienza naturista di quasi un secolo fa – Seconda parte

Volevo provare a tuffarmi dallo schienale della panchetta passeggeri del moscone, passando tra i due scafi: magnifico! Il tuffo di testa mi fece affondare in profondità, obbligandomi inoltre a risalire lentamente e con gli occhi ben aperti per non rischiare di urtare uno dei due galleggianti. L’impatto con l’acqua era stato più forte del normale e risalendo mi ritrovai il costume da bagno all’altezza della ginocchia: problema risolvibile ancor prima di uscire dall’acqua.
La mamma di Roberta volle provare anch’essa un tale tuffo. La sua permanenza sott’acqua durò di più della mia, perché oltre allo slancio del tuffo, aggiunse anche una vigorosa nuotata verticale a testa in giù per risalire con la classica manciata di sabbia. Risultato: alla sua fuoriuscita dall’acqua il suo costume era sceso fin sotto la vita, ché i bottoni automatici non avevano retto.
Per nulla imbarazzata, si issò sul moscone e stette così, ferma alcuni minuti, mostrando un magnifico seno pieno, perfettamente eretto ed uniformemente abbronzato. Rimasi di stucco, ammirato e non poco imbarazzato. Lei disse: “Spero non ti disturbi vedermi parzialmente nuda. Noi, quando siamo in famiglia, abbiamo l’abitudine di prendere il Sole nudi: ecco perché quando c’è il papà ce ne andiamo fuori soli e ben al largo in modo che nessuno ci veda.”
“Si immagini, signora. La cosa non mi disturba affatto, anzi, avrei sempre desiderato poterlo fare anch’io.”
“Siamo tutti abbronzati integralmente”, incalzò.
Roberta, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si abbassò le spalline e si tolse il costume, completamente abbronzata dalla testa ai piedi. Poiché io restavo lì come un allocco senza più fiatare, lei comprese il mio imbarazzo e per tranquillizzarmi scivolò in acqua, nuotando vigorosamente.
“Vedi –continuò la sua mamma- noi siamo naturisti (mi chiesi: cosa significa questa parola?), seguiamo cioè la nuova filosofia salutistica. Mio marito è un convinto salutista, ed è iscritto all’Unione Naturisti Italiana, che speriamo venga in un prossimo futuro incorporata nel Ministero della Cultura Popolare -(il famoso Minculpop di allora). Se questa attività salutistica ti interessa, potrai venire con noi in moscone tutte le volte che vorrai e partecipare ai benefici del nudismo integrale. Ovviamente non dovrai parlarne con nessuno, perché quello che facciamo è illegale: la legge non consente di esporsi nudi in luogo pubblico, infatti una delle regole fondamentali dell’Associazione è quella di praticare i bagni d’acqua, di Sole, di aria e di luce in completa nudità in appositi campi recintati non accessibili agli estranei.”
Ero frastornato: dunque vi erano altri che si interessavano al nudismo! E perché si chiamavano “naturisti”? E gli stessi componenti della famiglia di Roberta che, a loro dire, giravano nudi per casa in occasione del bagno o della doccia di ciascuno? Mi ripromettevo di focalizzare meglio l’argomento, con calma. Per il momento accettai con entusiasmo l’invito fattomi, promettendo che mai e poi mai avrei parlato con chicchessia di un argomento che mi stava tanto a cuore. Roberta risalì sul moscone, restammo ancora per qualche tempo per asciugarci meglio; le due donne si rimisero in ordine i loro costumi e tornammo a riva.
Rientrando a casa, non smettevo di pensare alla mia avventura e a quali sviluppi avrebbe potuto portare.
Ma i giorni scorrevano veloci e l’agosto volgeva inesorabilmente al termine. Le uscite in moscone continuarono normalmente con tutta la turba dei ragazzini. Solo un paio di volte si poté uscire in tre, andando molto al largo: la prima volta fu dura per me, poiché, mentre Roberta e sua mamma si spogliarono con tutta semplicità, io tergiversavo, temendo di fare delle “gaffes”. Provai, mi tolsi il costume alquanto imbarazzato perché ero effettivamente in erezione; mi lasciai scivolare in mare e rapidamente l’acqua fresca e una vigorosa nuotata tutt’intorno al moscone calmarono la mia eccitazione. Fui quindi in grado di risalire sul moscone e distendermi per asciugarmi al Sole. Ora sapevo cosa avrei dovuto fare in altri casi similari, e questo mi tranquillizzò doppiamente. Era magnifico! Sentire la vicinanza di due persone che godevano dello stesso mio benessere esponendo i loro corpi al Sole senza alcun problema che non fosse quello di verificare l’eventuale avvicinamento di estranei, mi dava un senso di libertà come non avevo mai provato prima! Fare poi il bagno senza l’impaccio di un inutile costume, con l’acqua che lambiva le parti più intime, era il massimo! In un colpo solo avevo trovato la risposta a tanti miei interrogativi sulla possibilità della presenza simultanea di persone di sesso opposto in condizione di completa nudità, senza che il sesso venisse sollecitato oltre misura: decisamente avevo trovato la chiave della felicità.Quanto al significato di “naturismo” rispetto al “nudismo”, la mamma di Roberta, su mia richiesta, mi confermò quanto avevo già intuito autonomamente: “nudismo” si riferiva al semplice fatto di ritrovarsi nudi in diverse persone per gli scopi più disparati, tra i quali il principale mi pareva essere quello del soddisfare il piacere sessuale (di cui peraltro non sapevo ancora granché); “naturismo” significava invece il ritrovarsi nudi in diverse persone in un ambiente naturale, praticando uno sport, prendendo il Sole, facendo un bagno di acqua o d’aria, o anche conversando su qualsiasi argomento. E ciò per godere al massimo del benessere che solo la natura poteva dare a degli umani che avevano ritrovato il piacere della condizione primitiva derivanteci dalla nascita, la quale (malgrado la cosa irriti fortemente i “tessili”) ci aveva fatto semplicemente nudi.
Forse la differenza tra le due pratiche era più complessa, o forse meno; comunque, per il momento, questa semplicistica comparazione soddisfava ampiamente la mia curiosità.
Queste due furono le ultime uscite naturiste che feci con Roberta e la sua mamma: infatti, dopo un incontro a Torino durante l’inverno, quando mia madre ed io fummo invitati a casa loro per un pomeriggio di festa con gli amici e i compagni di scuola di Roberta, non ci vedemmo più poiché suo papà dovette trasferirsi a Napoli per il suo lavoro, e dopo qualche scambio di lettere e cartoline, perdemmo definitivamente i contatti.