di Valerio Rupo

Affrontare l’argomento della nudità dal punto di vista di un colosso della comunicazione come Facebook, in cerca dei motivi tutt’altro che oscuri per cui un contenuto innocente come la foto di un gruppo Naturista sia immediatamente censurata alla stregua della pornografia, rischia di diventare un esercizio accademico e sterile.
Spendere due parole a riguardo, dal momento che il Social Network sembra non concedere spazi visibili alla comunità naturista online, risulta tuttavia necessario. Siamo sicuri che né Facebook né alcun grande colosso della comunicazione informatica abbia alcunché da ridire su uno stile di vita che rinuncia, ovunque e quantunque possibile, alla scomoda zavorra dei vestiti; almeno, ci riteniamo certi che a Facebook non interessi con quanti e quali vestiti addosso i suoi utenti si interfacciano con la piattaforma, ma viceversa non possiamo negare che a qualunque istituzione – digitale o fisica – interessino le finalità espressive della nudità.
“Postare” una foto naturista su Facebook, senza intervenire sulla stessa per coprire “le vergogne”, significa incappare nella censura ed essere interdetti a qualunque altra attività sul Social Network per un certo periodo di tempo:

Il contenuto è stato «condiviso solo con un gruppo ristretto di persone» o «eliminato»: i copywriters di Facebook, evidentemente, hanno ritenuto necessario che la platea benpensante dei milioni di profili iscritti alla piattaforma non possano dedurre che la detta censura fosse dovuta a meschine intenzioni. E il naturista bistrattato ha doppiamente ragione di ritenersi offeso, non solo per essere stato ingiustamente censurato, ma per la presunta gravità dell’azione (la pubblicazione di una foto nature).
Indubbiamente, a un algoritmo la differenza tra una natica o un seno mostrati a scopo provocatorio (leggasi: “pornografico”) e gli stessi mostrati in un contesto più ampio, senza intenti alcuni se non la rappresentazione di un normale contesto naturista, appare per lo meno sottile. Così si spiega l’inevitabile confusione tra un modo di intendere la nudità come portatrice di significati carnali, erotici e conturbanti, e un modo di non intenderla affatto, poiché considerata la più naturale delle condizioni umane.
Se accettiamo la definizione di “pornografia” della Treccani («Trattazione o rappresentazione […] di soggetti o immagini ritenuti osceni, fatta con lo scopo di stimolare eroticamente il lettore o lo spettatore») non possiamo evitare di notare quanto poco, a livello collettivo, sia obiettiva la definizione: se a “ritenere osceno” è un algoritmo, è evidente come i metri di giudizio non possano che essere del tutto arbitrari. Benché sia stato programmato allo scopo, un crawler non può davvero valutare in che misura lo scopo espressivo della nudità sia, con Chimirri, «reinterpretato, ricostruito, cambiato e decodificato, in rapporto alle intenzioni».
La questione è ulteriormente intorbidita nel momento in cui tali restrizioni vengono imposte anche ai gruppi chiusi, dove la circolazione di informazioni e contenuti è limitata a un dato gruppo di utenti: sembra che il dispotismo dei crawlers non ammetta intervento umano. Il semplicistico meccanismo che marchia una qualunque foto di nudo come “contenuto per adulti”, perciò inammissibile per una piattaforma destinata a qualunque età, genere e credo, è forse dovuto alla limitatezza del mezzo? Sinceramente, anche senza particolari doti informatiche possiamo farci un’idea per nulla fantascientifica di come aggirare l’ostacolo, per esempio istituendo un sistema di segnalazioni per distinguere il vero contenuto naturista da tutto il resto (e questo sarebbe davvero necessario, sì, grazie).
Ma si ha la netta impressione che, piuttosto, alla base di questo eccesso di pudore ci sia quella stessa natura egemone di ogni significato provocatorio (carnale, erotico, conturbante eccetera) attribuito alla nudità. E a noi naturisti non rimane che accettare il dato di fatto e “farci furbi”, evitando di ostentare immagini interpretabili con significati che con il Naturismo non hanno nulla a che fare.
Qualche riga di considerazione soltanto per risolversi in una rassegnata constatazione, quindi? Non soltanto, perché è bene ricordare che confondere il Naturismo con quelle aberrazioni della nudità maggiormente diffuse in tutto il mondo, ahinoi, è un vizio di forma che per adesso dobbiamo accettare da parte dei crawler, degli impersonali giudici che governano i contenuti di Facebook. Ma ogni naturista conosce il rischio che questo modo di intendere la nudità venga mantenuto da parte dei malpensanti, di chi si ostina ad associare nudità a trasgressività. È significativo che sia stato proprio l’avvento dei Social Networks a permettere a chiunque di propagare opinioni dettate dall’ignoranza, consentendo a qualunque imbecille «lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel», come ebbe a dire Umberto Eco: non dimentichiamo che il problema è sociale, non Social.