Sull’Isola di Naxos

Dal libro Sull’isola di Naxos c’è un tesoro
di Loredana De Michelis
Isola di Naxos

Qualcosa di magico ti succedeva, semplicemente stando lì sotto il sole, a
guardare l’orizzonte. Se arrivavi dal mondo dei “normali”, i primi dieci giorni
erano duri: senza scarpe i sassi aguzzi ti facevano saltare di dolore
all’improvviso, il sole bruciava troppo, non c’era niente da fare e si diventava
ansiosi. Non si poteva scegliere il cibo e a volte non era così facile dormire, sul
ferro del traghetto prima, e sulla spiaggia battuta dal vento dopo.
Arrivava un momento però, se resistevi, in cui le cose cambiavano: la pelle
diventava il tuo vestito e poco importava se si tagliava, si sarebbe riparata da
sola. Non eri più nudo, esistevi all’interno del tuo corpo e l’aspetto esteriore era più o meno come quello di tutti gli altri. Non c’erano più differenze tra belli,
brutti, alti e bassi. Niente più classi sociali. La nudità diventava naturale e priva d’implicazioni, come per i bambini. I vestiti si trasformavano in un prezioso accessorio per le occasioni particolari e assumevano un significato simbolico, quasi guerresco.

Imparavi a camminare in modo diverso, più morbido, come un gatto; e a
guardare meglio dove andavi, scoprendo tante piccole cose.
La giornata prendeva un suo ritmo e non c’era più neppure un attimo vuoto:
potevi stare ore a scavare buche nella sabbia bagnata della battigia, totalmente concentrato sul vai e vieni dei granelli che contendevi all’acqua chiara.
Nelle ore più calde una sete strana ti spingeva a tuffarti in acqua più spesso, per mantenere costante la temperatura del corpo. Scoprivi di sapere tantissime
cose, potevi percepire il tuo territorio fino agli angoli più nascosti. Mentre i sensi si facevano più acuti, altri pensieri diventavano più remoti, come scivolati sotto uno strato di esistenza più vivida e importante. I capelli crescevano come radici nel vento e si trasformavano in una sorta di piumaggio. Non ci si stancava mai di sentirne il peso e la carezza.

Fantastiche erano le notti: nessuno dei ragazzi nati nelle città del nord aveva
mai visto niente di simile. Le poche luci di Chora erano lontane, e l’isola di Paros negli anni ’80 si stagliava ancora nera come l’inchiostro. Del mare sentivi solo il rumore e il cielo era una fittissima cascata di stelle che scendeva fino a fondersi con la linea lucida dell’acqua all’orizzonte.
Con un movimento veloce del piede scavavamo nella sabbia la culla perfetta, ci
infilavammo ognuno nel suo bozzolo e lasciavamo che gli occhi si riempissero di galassie.

Ci addormentavamo ascoltando la risacca. Mai come in quei momenti, con il
cielo a fare da tetto e la terra come giaciglio, ci eravamo sentiti più al sicuro…

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