
Si parla molto di Transizione e Rivoluzione Green, ma c’è ancora molta distanza tra parole, proclami e consapevolezza, misure, azioni concrete. Recentemente il “Centro Futuro Sostenibile” di Roma ha redatto un documento per tracciare il quadro della situazione attuale e delle azioni necessarie.
Ne pubblichiamo una sintesi, con ampi stralci diretti.
Gli impegni di cambiamento a fronte dei mutamenti climatici comportano indispensabili e radicali trasformazioni. Anche in Italia. Accanto al dovere dei decisori pubblici e dei governanti, è interesse della società e di ciascun cittadino, delle imprese e dei titolari di competenze professionali e tecnico-scientifiche concorrere ad orientare e sostenere le enormi e complesse scelte che derivano da questi nuovi impegni. Dopo decenni di attendismo e misure parziali, si sta assistendo a un’accelerazione per una decarbonizzazione delle attività umane.
I criteri ESG (Environment, Social, Governance) guideranno le imprese in modo rilevante,
sia per l’accesso ai mercati e alla finanza che per la partecipazione alle strategie e ai finanziamenti pubblici: processi che non potranno avvenire con dichiarazioni generiche, e tanto meno ricorrendo a comunicazioni ingannatorie, di cosiddetto “greenwashing”.
A livello politico, pubblico, come si governerà questa inevitabile transizione? Poiché non sarà a saldo zero, chi ne pagherà i conti? Quanti posti di lavoro si perderanno e quanti si creeranno? Quale crescita formativa si darà ai giovani, e a chi dovrà affrontare nuovi mestieri?
La situazione attuale
Quindici anni fa, con il documentario An Inconvenient Truth (Una scomoda verità), l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore divulgò a livello mondiale il problema dei cambiamenti climatici, ottenendo per questo il Premio Nobel per la Pace. Da allora, si è passati dal riconoscimento retorico del problema, alla sottoscrizione del nuovo Accordo di Parigi nel 2015 e a una recente, più decisa condivisione della necessità di agire con misure efficaci e stringenti entro due date, il 2030 e il 2050. Obiettivo: contenere sotto i 2
gradi la crescita della temperatura globale alla fine di questo secolo -il traguardo assunto dai membri del G7 e di tenerlo a un grado e mezzo – in modo da scongiurare effetti dirompenti, con le loro irreversibili conseguenze, ormai identificati e condivisi dalla comunità scientifica internazionale, tra i quali scioglimento dei ghiacci, innalzamento dei livelli dei mari, crescita della desertificazione, perdita della biodiversità, fenomeni meteorologici estremi.
Questo ha portato a nuove più forti prese di posizione da parte dei governi.
L’Amministrazione Biden ha lanciato la Global Climate Ambition Initiative, stabilendo di finanziare la Net-Zero Transition e l’adattamento ai cambiamenti climatici con investimenti massicci. Il 20 maggio scorso ha firmato un Executive Order sui rischi finanziari Climate-Related rivolto a tutte le Agenzie Federali.
L’UE ha posto l’European Green Deal al centro della strategia per la trasformazione economica e sociale dell’Unione, per gli investimenti e il recupero e rilancio nel post-pandemia. E il Presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato, nel mezzo della pandemia COVID-19, che “l’umanità dovrebbe lanciare una rivoluzione verde”.
Anche in Italia, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha dichiarato che occorre “una rivoluzione Verde”, in occasione del dibattito parlamentare al termine del quale ha ottenuto la fiducia dal Parlamento italiano. Questo porterà a inedite azioni di investimenti pubblici sostenibili e per l’innovazione energetica.
La prossima riunione della COP26, la Conferenza ONU 2021 sui Cambiamenti Climatici, si terrà a novembre in Glasgow, per cercare di registrare i recenti, nuovi impegni assunti da diverse Nazioni e dall’Unione Europea per verificare e rafforzare le Nationally Determined Contributions (NDCs), ovvero gli impegni presi a seguito dell’Accordo di Parigi.
Oggi, la ‘scomoda verità’ sui cambiamenti climatici è ormai accettata da tutti gli organismi internazionali. Ma vi sono 7 punti conseguenti che vanno conosciuti e affrontati: sono questioni strategiche economiche, ecologiche, produttive, sociali.
1. DIVERSI IMPATTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI SONO IRREVERSIBILI. clicca per approfondire
Le emissioni di CO2 accumulate in atmosfera impiegheranno decenni, o secoli, per essere assorbite, anche nel caso di un impossibile blocco immediato e generalizzato delle emissioni attuali. E’ noto che le attuali responsabilità nelle emissioni globali sono molto diverse. E, infatti, i target dichiarati di riduzione delle emissioni sono diversificati per ciascuna Nazione. L’Amministrazione Biden parla di una riduzione del 52% rispetto ai livelli 2005 entro il 2030. L’Unione Europea, del 55% al 2030, ma rispetto ai livelli del 1990. La Cina, di fermare al 2030 la crescita delle proprie emissioni, con neutralità climatica al 2060.
Analisi recenti indicano che l’attuazione degli impegni oggi sottoscritti porterebbe a una crescita di oltre 3° della temperatura media della Terra a fine secolo.
Il Rapporto Annuale dell’Organizzazione Metereologica Mondiale (WMO) prevede che il raggiungimento della crescita della temperatura media globale di 1,5° rispetto all’età pre-industriale è probabile in almeno uno dei prossimi 5 anni. Gli studi del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) indicano scenari che, nelle ipotesi più pessimistiche, potrebbero portare fino a 5° l’incremento medio delle temperature in Italia a fine secolo.
Le analisi dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, ONU) e dei maggiori centri di ricerca internazionali descrivono da anni l’irreversibilità di alcuni processi, pur in caso di graduali ridimensionamenti delle emissioni nei prossimi decenni: dalla riduzione dei ghiacci artici allo scongelamento del permafrost in vasti territori, specialmente nelle regioni siberiane; dalla sommersione di aree costiere, alla scomparsa di foreste primarie, alla perdita di aree coltivabili. Ciò impone comunque di investire risorse e realizzare specifici ed imponenti programmi per contrastare questi fenomeni già in corso.
2. GLI IMPEGNI DA REALIZZARE SONO URGENTI E COLOSSALI. clicca per approfondire
La dimensione della sfida che ha davanti l’umanità può essere letta efficacemente nel Rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), che descrive le decisioni e le implicazioni necessarie per raggiungere la neutralità climatica nel 2050. Questo Rapporto affronta in modo esplicito e sistematico cosa comporterà, concretamente, realizzare gli obiettivi dichiarati dalla comunità internazionale. Per il settore energetico, essendo responsabile dei 3/4 delle emissioni di “gas-serra”, portare le emissioni a zero nel 2050 “richiede nulla di meno che una completa trasformazione di come produciamo,
trasportiamo e consumiamo energia”. Tra le necessità indicate: un accrescimento globale dell’efficienza energetica, con miglioramenti medi annuali dell’intensità energetica del 4% fino al 2030, ovvero il triplo della media degli ultimi due decenni. Oltre alla riduzione della CO2, bisognerà ridurre anche le emissioni di metano da combustibili fossili del 75% nei prossimi dieci anni. E ancora, si dovrà aggiungere ogni anno, in questo decennio già iniziato, 630 gigawatt (GW) di solare fotovoltaico e 390 GW di eolico, ovvero il quadruplo dei livelli record conseguiti nel 2020. E. nel quadro dell’elettrificazione sistematica e green, la vendita di veicoli elettrici dovrà passare dall’attuale 5% circa a più del 60% nel 2030.
Il Rapporto IEA esplicita il gigantesco impatto delle trasformazioni necessarie sulle politiche energetiche, prospettando al 2050 una domanda globale di energia dell’8% circa inferiore ad oggi, ma al servizio di un’economia più che raddoppiata, con due miliardi di persone in più sulla Terra, e basata sulle energie rinnovabili: 2/3 da vento, solare, bioenergia, energia geotermica e idro; il fotovoltaico dovrà crescere di 20 volte da oggi, l’eolico di 11 volte. Il declino dei combustibili fossili dovrà portare a un loro crollo, dai 4/5 dell’energia globale attuale, a 1/5.
Nel 2050 l’elettricità dovrà assicurare quasi il 50% dei consumi energetici, con una crescita rispetto ad oggi di due volte e mezzo, per circa il 90% da fonti rinnovabili: il resto dal nucleare, previsto in espansione.
Il taglio delle emissioni per l’industria, i trasporti e le costruzioni sarà ancora più complesso, e richiederà trasformazioni sistematiche degli impianti industriali: ad esempio, nei trasporti dovranno terminare nel 2035 le vendite di automobili a combustione; biocarburanti e carburanti sintetici saranno necessari per l’aviazione; ammoniaca per le navi. Saranno regolate costruzioni chiavi in mano a emissioni zero, e drastiche trasformazioni per riscaldamento e climatizzazione domestici.
Secondo il Rapporto IEA, la domanda di carbone dovrà ridursi del 90% dell’uso totale di energia al 2050; quella di gas del 55%; quella di petrolio del 75%. I punti di ricarica pubblica per veicoli elettrici dovranno passare, dal 2020 al 2030, da un milione a 40 milioni, con un investimento annuo di quasi 90 miliardi di dollari da qui al 2030.
La produzione di batterie per veicoli elettrici (EV) balzare dai 160 gigawatt-ora di oggi, a 6.600 nel 2030, ovvero aggiungere quasi 20 gigafactories all’anno per i prossimi dieci anni. E per puntare a un utilizzo diffuso dell’idrogeno dal 2030, sarà necessario – sempre a livello globale – accrescere i soli investimenti infrastrutturali annui dall’attuale miliardo di dollari a circa 40 miliardi nel 2030.
3. C’È CONSAPEVOLEZZA SCIENTIFICA, MA NON POLITICA ED ECONOMICA. clicca per approfondire
I dati sopra riassunti non provengono da fanatici ambientalisti ultrà, ma dalla più autorevole Agenzia internazionale in cui sono rappresentate anche Nazioni con radicati interessi nelle attuali politiche energetiche fossili. La politica ne è consapevole, a partire dall’Italia? No, se guardiamo i temi dominanti nel dibattito politico, e alla programmazione delle misure attuative necessarie.
Secondo alcune reazioni, la Roadmap della IEA sarebbe irrealistica ed impraticabile e accrescerebbe la povertà nei Paesi meno sviluppati, quali ad esempio la Nigeria e l’Iraq.
Hanno espresso scetticismo alcuni Paesi in cui si estraggono combustibili fossili (Australia, Norvegia) o si consumano senza alternative prossime (Giappone), mentre altri sono rimasti in silenzio. Ma il confronto sulle dettagliate proposte IEA è aperto. Esse hanno avuto il grande merito di portare il confronto politico su dati e opzioni concrete su scenari presentati finora solo a parole, con i grandi obiettivi globali del dimezzamento delle emissioni al 2030, e di “emissioni zero” al 2050.
Ma anche il mondo economico è indietro nella consapevolezza dell’urgenza e programmazione delle azioni da intraprendere. Alla vigilia della pandemia COVID-19, nel settembre 2019, due autorevoli economisti quali Nicholas Stern (London School of Economics) e Andrew Oswald (Warwick University) hanno effettuato un’analisi sulle principali 9 riviste accademico-scientifiche in campo economico a livello internazionale, per verificare quanti articoli avessero dedicato alle gigantesche sfide – per la scienza economica, oltre che per l’economia reale – imposte dalla necessità di contrastare i cambiamenti climatici. Il risultato: su 77mila articoli censiti, solo 57 affrontano questo argomento essenziale per la sopravvivenza del genere umano, e assolutamente determinante per qualsiasi analisi economica di prospettiva. Una percentuale pari allo 0,00074%.
Esiste dunque un problema fondamentale di informazione, e di vera e propria alfabetizzazione. Occorrono un confronto incessante, uno scambio di informazioni profondo e dialettico a fronte di materie che richiedono competenze, capacità di analisi di trasformazioni sistemiche, disponibilità pragmatica all’ascolto, contributo alle politiche e alla regolazione, interazione e partnership tra pubblico e privati.
Ma il cambiamento trasformativo diffuso, è comunque iniziato, e continuerà. Si tratterà di disporre, da oggi in poi, in ogni settore della vita associata, di nuove capacità di valutazione e interazione che permettano, a partire da governi, legislatori e organismi regolatori, di contribuire alle scelte largamente inedite e innovative che sono davanti a cittadini ed imprese.
4. LE DIVERGENZE POLITICHE GLOBALI RENDONO PIÙ DIFFICILI OBIETTIVI CONDIVISI. clicca per approfondire
Dopo il Protocollo di Kyoto, nell’evidente impasse per l’effettiva adozione di misure vincolanti per gli Stati in materia ambientale e climatica, c’è stato il passaggio per la comunità internazionale, con l’Accordo di Parigi 2015, a un meccanismo su base volontaria e condivisa di impegni per la riduzione delle emissioni, con maggiore flessibilità e misurazione della effettiva volontà e capacità attuativa da parte di ciascuna Nazione o gruppo di Nazioni.
Questo esige coordinamento e convergenza strategica da parte di tutti gli attori internazionali. La pandemia è sicuramente un efficace riferimento per far comprendere che soluzioni isolate non possono avere successo, a fronte di un maggiore problema globale.
Si tratta di agire prima che sia troppo tardi, pur in assenza di una minaccia percepita da molti come immediata, e con la complessità strutturale di impatti pervasivi sull’economia reale, su gli squilibri e le diseguaglianze già esistenti, sull’organizzazione pubblica, gli stili di vita, il lavoro.
Se le politiche per il Clima sono molto difficili da mettere in campo in modo globale, ciò sta diventando ancora più difficile nella nuova situazione geostrategica e geopolitica. Dopo un quarto di secolo caratterizzato da aperture inedite, sotto l’insegna di una Globalizzazione che ha accomunato economie occidentali e grandi Paesi emergenti, gli scenari internazionali stanno cambiando rapidamente e profondamente. Si parla esplicitamente di una nuova Guerra Fredda, in particolare per la competizione strategica tra USA e Cina: in ogni caso, l’acquisita crescita di Pechino come protagonista globale sta portando a rapide correzioni di rotta da parte dei governi occidentali. La scelta è tra la collaborazione competitiva e una competizione conflittuale. Impossibile, peraltro, che decisioni vitali come la rivoluzione energetica avvengano al di fuori di tensioni politiche, a causa della naturale concorrenza tra diversi e divergenti interessi nazionali e geopolitici, pur nella prospettiva di
comuni responsabilità.
Ci si misurerà dunque con aspetti politici ed etici dalle indubbie conseguenze: non solo per la considerazione dell’accumulo “storico” delle emissioni ma, ad esempio, a proposito delle diseguaglianze, che riguardano i rapporti esistenti tra le Nazioni, e tra ricchi e indigenti all’interno delle stesse. Poiché l’1% di super-ricchi è responsabile di una quota di almeno il 15% delle emissioni globali, a fronte del 50% della parte più povera della popolazione globale. Il rapporto ONU 2020 sull’Emission Gap osserva che l’obiettivo della temperatura terrestre verso +1,5° richiederà all’1% più ricco del Pianeta di tagliare la sua “impronta di carbonio” di almeno 30 volte.
Le asimmetrie tra le Nazioni saranno molto difficili da regolare, se pensiamo agli interessi di Paesi produttori di combustibili fossili, o a Paesi che hanno in corso nuove dinamiche di industrializzazione. O alla situazione africana, dove il 17% della popolazione mondiale produce il 3,5% delle emissioni di CO2 e dove, solo nella fascia subsahariana, si contano milioni di sfollati interni e profughi a causa di crisi ambientali, con le connesse, drammatiche implicazioni per la perdurante insicurezza alimentare. Qui la diffusa fragilità delle infrastrutture, e la necessità di investimenti enormi per la transizione energetica formano un mix difficilissimo. Le problematiche finanziarie con la crescita dei già ingenti
debiti, esigeranno concertazioni e decisioni critiche.
In questo nuovo contesto internazionale, l’Unione Europea ha deciso di puntare su obiettivi ambiziosi, con l’obiettivo di zero emissioni nel 2050, attraverso un cammino fatto di impegnativi strumenti di regolazione e di investimenti importanti per accoppiare l’uscita dalla pandemia con politiche espansive legate alle transizioni Green e digitale, perché anche la digitalizzazione deve seguire parametri stringenti per le sue implicazioni climatiche, essendo altamente energivora (su tutti il mining per le criptovalute).
Queste scelte hanno anche considerevoli impatti burocratico-amministrativi.
Si guardi al complicato provvedimento che ricade sotto il nome di Tassonomia UE (Taxonomy for sustainable activities), sistema di classificazione che definisce una lista di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale. Esse dovrebbero avere anche un carattere competitivo, per lo sviluppo di nuovi comparti produttivi che certamente impatteranno in modo decisivo anche sull’Italia. In parte, per contribuire al calo globale delle emissioni (quelle UE sono l’8%, rispetto al totale mondiale; quelle italiane, circa l’1%). Oppure, si pensi alle implicazioni geopolitiche, e non solo industriali ed ambientali-climatiche, della proposta di ampliare il sistema degli ETS (Emission Trading Scheme) all’interno di una politica per tassare le importazioni da aree extra-UE che non rispondano
a requisiti di carbon pricing, o a target delle emissioni (la Carbon adjustment border Tax).
Tutte queste politiche si misureranno con la competizione per rame, cobalto, manganese o le diverse terre rare necessarie per il funzionamento dei nuovi processi, in particolare per la realizzazione delle batterie e dei semiconduttori; ma anche per il controllo delle linee strategiche di collegamento e la logistica; per l’autosufficienza, o la cooperazione produttiva per la realizzazione di nuove industrie ed impianti. In un contesto in cui dove le emissioni saranno molto diversificate nel corso dei prossimi 30 anni, e saranno maggiori nei Paesi emergenti, come ha confermato una recente analisi dell’Fondo Monetario Internazionale.
5. METTERE D’ACCORDO RIVOLUZIONE E TRANSIZIONE. clicca per approfondire
L’età del petrolio ha accompagnato la crescita senza precedenti dell’umanità, dal reddito medio all’accesso a prestazioni sconosciute per le grandi masse popolari, alla durata media della vita. E’ stata una lunga rivoluzione, ma non è stata incruenta.
Oggi abbiamo capito che questa dinamica va radicalmente invertita, se vogliamo che i complessi equilibri ecosistemici che regolano la vita sulla Terra non vengano spazzati via.
Dobbiamo governare la più difficile transizione di sempre. Il mese di maggio 2021, accanto alla presentazione del Rapporto IEA, ha registrato dei mutamenti accelerati, sorprendenti per molti. I due grandi gruppi petroliferi USA Exxon e Chevron – abituati a gestire cambiamenti nel corso di anni, o decenni – hanno subito incursioni molto rilevanti da parte dei loro azionisti: per Chevron, una risoluzione richiede di tagliare le emissioni di gas-serra nelle attività dell’azienda, appoggiata col 61% dei voti. Per Exxon, un fondo attivista detentore appena dello 0,02% delle azioni, ha fatto eleggere almeno due membri nel Consiglio di Sorveglianza. Negli stessi giorni, un Tribunale dell’Aja, a seguito di un’iniziativa legale intrapresa a difesa dell’ambiente e del Clima, ha ordinato al gruppo anglo-olandese Shell di abbattere le proprie emissioni del 45% entro il 2030, su base delle emissioni 2019.
Si tratta di un precedente che sposta sul fronte del contenzioso legale e giudiziario la Transizione Verde e Climatica. Non è in effetti una novità. Già in un caso precedente la Corte Suprema dell’Aja aveva stabilito che le politiche del governo olandese erano insufficienti, minando i Diritti umani.
Anche il Consiglio di Stato in Francia e la Corte Costituzionale Federale in Germania si sono pronunciati su queste materie. In generale, sono stati censiti dal 1990 oltre 1.800 conflitti giuridici in 40 Paesi su casi legati al Clima, secondo un’analisi della London School of Economics. In Perù, ad esempio, un agricoltore ha portato davanti alla giustizia un grande gruppo energetico tedesco per gli effetti del riscaldamento globale su un ghiacciaio del suo Paese, e una ventina di Stati e città USA hanno aperto cause contro i giganti delle energie fossili per i danni alla salute locale.
I Governi – anche il nostro in Italia – devono trasformare la modalità accessoria con cui ci si è occupati finora di Ambiente e Clima in una modalità centrale. Quelle che prima erano le condizioni dell’economia che hanno dominato la politica, in quanto orientavano il consenso, ora sono divenute trasversalmente le ragioni dell’Ambiente e del Clima. Chi non voglia accorgersene, potrà trovare un Tribunale, magari di livello sovranazionale, alla luce delle nuove obbligazioni assunte dagli Stati, a dettare un cambiamento cui si troverà impreparato.
Ecco perché è incoraggiante l’inserimento di tante misure per il Cambiamento Green nel PNRR post-COVID. Tuttavia, emerge che ci troviamo ancora nella fase della sottovalutazione. Per dare un’idea della differenza tra Rivoluzione e Transizione: entriamo nella stagione in cui si dovranno prendere centinaia di decisioni drastiche e iniziare complesse sperimentazioni, molte in cui soppesare il “male minore”, moltissime in cui si dovrà considerare l’impatto sociale ed umano delle decisioni, assieme a quello ambientale e climatico, e dunque adottare misure integrative e compensative.
Se il vertice UE di fine maggio si è bloccato, rispetto alla definizione degli impegni nazionali per centrare gli obiettivi climatici cui l’Unione Europea si è obbligata, è appunto perché si è entrati nel merito di decisioni che accompagneranno l’agire pubblico nei prossimi anni, e decenni: debbono pagare di più i Paesi con il PIL più alto, anche se hanno già iniziato a ridurre le emissioni, oppure quelli che inquinano di più – anche se hanno minori risorse? Un compromesso si troverà, certo; anche se non potrà essere basato su rinvii e finte soluzioni. E, al confine tra Polonia e Repubblica Ceca, si porrà lo stesso problema che sta affrontando Biden in queste settimane, in cui non si è opposto a tutte le decisioni dell’Amministrazione Trump relative a impianti in Dakota e Wyoming: che fare
dell’espansione da un miliardo di dollari dell’impianto che utilizza lignite, scavata nella miniera di Turow, la cui attività carbonifera è stata estesa dal governo polacco al 2044? E ancora: cosa fare dei cospicui finanziamenti, e anche dei recovery funds, stanziati dai Paesi G7 per attività di produzione di energia e consumi legati ai combustibili fossili?
È un conflitto ambientale, politico, e anche economico-occupazionale. E ci indica sfide molto più grandi: come inserire nel sistema ETS (il mercato dei diritti di emissione), accanto ai settori dell’energia e a quelli industriali coinvolti, anche trasporti, rifiuti, agricoltura, costruzioni; e come far funzionare il sistema UE di scambio delle quote di emissione. Che impatterà certamente su importanti filiere produttive. E sul bilancio delle famiglie. Uno studio di Cambridge Econometrics stima che l’estensione del sistema di scambio di quote ad auto e abitazioni, porterebbe a raddoppiare il prezzo del gas domestico per le famiglie francesi al 2030, con una crescita del 188% per le abitazioni polacche riscaldate con il carbone. Ecco cosa vorrà dire governare la Transizione ecologica, energetica, climatica.
6. LE RISORSE ATTUALI PER LA RICERCA SCIENTIFICA SONO INSUFFICIENTI. clicca per approfondire
Siamo dunque molto indietro, come cultura e consapevolezza diffuse, strumenti decisionali, formazione di dirigenti pubblici, manager, quadri e figure operative, e nella disponibilità generale delle produzioni necessarie alla Rivoluzione Verde che costituisce un elemento qualificante anche della fiducia richiesta e ottenuta in Parlamento dal Premier Draghi.
Siamo indietro, ad esempio, nelle produzioni di pale eoliche offshore o batterie per auto elettriche, nella progettazione e sperimentazione, prima ancora che installazione, delle infrastrutture indispensabili. E’ legittimo attendersi che decisioni politiche e una nuova disponibilità di risorse per investimenti possano guidare un processo di straordinaria accelerazione, che coinvolga le filiere produttive interessate. In Italia, siamo consapevoli delle potenzialità e delle specifiche esigenze di comparti cruciali come quello agricolo e alimentare, o della moda? Oltre agli interventi strategici che riguarderanno i comparti energetici, la nostra manifattura, il settore farmaceutico, la chimica, l’edilizia e i lavori pubblici, e così via.
Recentemente il Presidente Biden ha affermato il 50% delle riduzioni delle emissioni verrà da innovazioni tecnologiche che ancora non conosciamo. E’ un concetto ardito, che ritroviamo peraltro nell’analisi Net Zero 2050 della IEA: “Gran parte delle riduzioni globali nelle emissioni di CO2 nel nostro cammino verso il 2030 risultano da tecnologie già disponibili oggi. Ma nel 2050, quasi metà delle riduzioni verranno da tecnologie che attualmente sono in fasi dimostrative o di prototipo”.
Per ottenere simili risultati, possiamo e dobbiamo avere fiducia nella Scienza, come dimostra l’eccezionale rapidità – meno di un anno, rispetto a medie precedenti attorno a 5 anni – con cui sono stati resi disponibili vaccini efficaci contro il COVID-19, potenzialmente accessibili per l’intera umanità. Si tratta dunque di provocare e sostenere una svolta di carattere scientifico, di ricerca, sperimentazione e sviluppo di nuove soluzioni a fronte delle nuove, dirompenti esigenze globali.
Ma le risorse rese finora disponibili in ricerca&sviluppo sono insufficienti. Il fatto che una parte della ricerca avanzata nei maggiori Paesi avvenga in strutture militari, o legate alla sicurezza nazionale, non è incoraggiante. Tuttavia, esistono ampie capacità nei settori privati, oltre che nelle istituzioni di ricerca, per affrontare questa accelerazione. I decenni di attesa per la fusione nucleare, o alcune ipotesi di “geo-ingegneria climatica” somiglianti a riedizioni del “Dottor Stranamore” non debbono ingannarci. Lungo tutti i processi delle filiere che abbiamo incontrato, possono dispiegarsi anche in tempi rapidi delle svolte straordinarie, alcune delle quali vengono sperimentate già oggi. Ma occorrono molte più risorse pubbliche, anche su base multilaterale: e qui l’Unione Europea può fare senz’altro di più. Se gli USA hanno appena previsto un investimento di 180 miliardi di dollari in basic
research per la crisi climatica, non dobbiamo dimenticare i dati riportati un anno fa dall’Economist: finora, il totale degli investimenti annui combinati in innovazione e tecnologie legate al Clima da parte di governi, venture capital e aziende energetiche europee è stato appena circa il doppio di quello di una sola grande azienda come Amazon.
7. CONSENSO, AGENDE POLITICHE, POSTI DI LAVORO. clicca per approfondire
È necessaria un’azione politica e culturale per affrontare le condizioni che consentano di impostare, governare e portare avanti la Rivoluzione Verde per il Clima non come impossibile imposizione dall’alto, ma con una convinta e diffusa condivisione e partecipazione delle cittadinanze di ciascun Paese. Non bisogna dimenticare, infatti, le esperienze negative nell’accoglienza popolare di misure pur parziali e limitate: dai pochi centesimi di euro in più imposti da Macron sui carburanti in Francia, che ha fatto da detonatore per la ribellione dei “Gilet Gialli”; alle controversie sull’introduzione di Carbon Tax in alcuni Stati canadesi, e a livello federale; oppure, al successo elettorale di Trump nel 2016 in diversi Stati a precedente maggioranza democratica, in virtù della polarizzazione pro o contro la chiusura di miniere e impianti a carbone.
Per stare in questo contesto, non è un caso se – dopo i risultati non sempre convincenti delle misure pro-green dell’Amministrazione Obama – lo stesso Biden abbia accompagnato la presentazione, lo scorso aprile al Congresso, del programma di rilancio post-pandemia con le parole “Troppo a lungo non abbiamo saputo usare la parola più importante, nell’affrontare la crisi climatica: lavoro, lavoro, lavoro”.
Se ascoltiamo qualunque dibattito su temi sociali, industriali, produttivi, anche se specificamente dedicato alle priorità per il lavoro, e alla difesa del lavoro, siamo molto lontani, salvo egregie eccezioni, dal cogliere le implicazioni legate alla ormai iniziata Transizione Verde.
I rischi sono evidenti, e di impatto rapido, anche nel contesto delle criticità economiche provocate dalla pandemia: la chiusura o il ridimensionamento di filiere produttive ed energetiche carbon-intensive con conseguenti, significativi tassi disoccupazionali. E con l’incremento vertiginoso di automazione e ricorso all’Intelligenza Artificiale, a spese di lavori che non torneranno, nell’industria, negli uffici, nel commercio, nella logistica.
E le opportunità? Dipendono dalla serietà, rapidità, efficacia dei nostri interventi.
Un’analisi IEA indica i benefici economici della crescita annua degli investimenti nel settore energetico in 5 trilions di dollari (cinquemila miliardi) all’anno in questo decennio, che porteranno una crescita aggiuntiva annua di 0,4 punti al PIL mondiale.
Il saldo occupazionale sarà attivo nelle energie pulite, l’efficienza energetica, come pure per manifattura, ingegnerizzazione, costruzioni. Ovviamente, gli impatti saranno molto differenziati per Paese, a partire dai produttori di combustibili fossili. Ma, come abbiamo visto, nuove e rilevanti industrie nasceranno. Come pensare altrimenti, solo guardando all’obiettivo di produzione elettrica da rinnovabili nell’Unione Europea (oltre il 70% nel 2030) o, in Italia, di installare circa 70 Gigawatt da rinnovabili per la stessa scadenza?
Ci sono intere filiere da costruire, per scongiurare nuove dipendenze dall’estero.. E processi del tutto nuovi nelle filiere esistenti. Con attenzione assoluta al bilancio occupazionale, al sostegno ai lavoratori che escono, alla formazione permanente verso nuove attività lavorative e professioni necessarie. E’ evidente, ad esempio, l’arretratezza italiana nella filiera dell’idrogeno; e rilevante la serie di impegni, per oltre 3 miliardi di euro, contenuti nel PNRR approvato dal Parlamento e trasmesso dal Governo italiano a Bruxelles: produzione di idrogeno in aree industriali dismesse; utilizzo per decarbonizzare
acciaierie e impianti ad alta intensità energetica; stazioni di ricarica per il trasporto stradale a lungo raggio, e per il trasporto ferroviario; attività di ricerca e sviluppo. Inoltre, si prevedono norme tecniche, norme di semplificazione e di incentivo fiscale, ed altre misure destinate a diffondere il consumo di idrogeno verde.
Si può apprezzare, in particolare, la necessità di produrre elettrolizzatori, indispensabili per questi processi, oltre che dell’adattamento di un vasto novero di impianti ed infrastrutture.
Quali industrie nasceranno, quanti posti di lavoro verranno creati? Ci sono molti dubbi, e legittimi interrogativi, sulla fattibilità e l’efficienza di questi processi. E’ evidente che l’Italia non sarà pronta per il 2026, né sarà all’avanguardia nel 2030, ma avrà per quella data comunque sviluppato competenze, industrie, e posti di lavoro oggi inesistenti.
Una delle maggiori difficoltà nel far transitare la preoccupazione generica sui Cambiamenti Climatici sul terreno di agenda pratica, ovvero ciò che le persone possano effettivamente fare, sta nella distanza tra la dimensione, la grandezza dei problemi, e l’impatto delle esperienze di singole situazioni rispetto a questa scala di problemi. Un riflesso di distanza, se non di impotenza, anima molti. Gesti di testimonianza e impegno significativo legati agli stili di vita sono ovviamente importanti. Ancora più importante, ai fini di una più larga condivisione, potrebbe essere definire e organizzare campagne di valore strategico, legate ad obiettivi rilevanti, e conseguibili con un impegno collettivo e corale. Non va ignorato che la complessità delle azioni e interazioni legate alla produzione di gas climalteranti non può portarci a ripercorrere lo straordinario, seppur limitato, successo nell’azione globale per limitare i gas (specialmente i CFC, Clorofluorocarburi) responsabili del depauperamento della fascia di Ozono stratosferico, dalla seconda metà degli anni ’80 in poi. Ma simili concertazioni dovrebbero riguardare, ad esempio, la crescita delle emissioni di metano, il
secondo gas responsabile dell’effetto-serra. Le emissioni di tale gas, provenienti soprattutto da energie fossili, allevamenti e rifiuti, sono aumentate del 9% nel periodo tra il 2006 e il 2017. Si tratta di un gas che perdura meno della CO2, ma ha un assai più elevato potenziale di riscaldamento. L’UE ha ridotto le emissioni di metano, ma le informazioni disponibili – anche utilizzando l’osservazione satellitare – indicano che occorre agire a livello mondiale, per mettere in sicurezza molte decine di migliaia di pozzi estrattivi abbandonati in varie parti del mondo, per introdurre processi razionali virtuosi negli allevamenti di bestiame; oltre che per monitorare i “giganti addormentati del ciclo del
Carbonio”, i depositi congelati di Metano nell’Oceano Artico, che si stanno risvegliando a causa dello scioglimento dei ghiacci e del permafrost. Un rapporto dell’ONU ha messo in rilievo che un taglio del 40% entro il 2030 delle emissioni di metano porterebbe un rapido beneficio, con riduzione già di 0,3° della temperatura media globale al 2040.
Quindi è importante definire e qualificare obiettivi raggiungibili, non solo con il traguardo delle generazioni future. Molte e sempre più persone apprezzano l’impegno per promuovere il “capitale naturale” e preservare la biodiversità come parte della transizione ecologica. E sono pronte a mobilitarsi per traguardi e obiettivi visibili e raggiungibili a difesa della vivibilità del nostro ambiente. Magari, proprio per questa attenzione alla dimensione ‘possibile’ dell’impegno comune, si arrestano intimiditi di fronte alla dimensione, che appare soverchiante, delle sfide globali.
Un settore cruciale è certamente quello agricolo, insieme alla filiera agroalimentare, per il conteggio dell’assorbimento delle emissioni e una gestione innovativa ed efficiente delle attività e dei suoli, con una gestione avanzata e protettiva del ciclo degli alberi e delle foreste, e un maggiore e migliore utilizzo del legno per le costruzioni, o di fibre vegetali per il tessile. Cruciale sarà lo sviluppo di Distretti a zero emissioni, dai reflui sino all’utilizzo di biometano per la produzione di idrogeno, e alla produzione di grafene. La filiera agricola e agroalimentare sono importantissime per la nutrizione e la salute, per la tutela del territorio e del paesaggio, e per l’occupazione.
In conclusione, Il governo italiano ha cambiato denominazione al Ministero dell’Ambiente: nella nuova definizione di “Transizione Ecologica” si incontra il problema trattato in queste pagine. Nella lingua italiana, transizione è una parola scientifica che significa “passaggio tra due condizioni, due epoche, due modi di vita, due situazioni”. E’ l’atto di passare, con significati precisi nella fisica, la biochimica, la termodinamica, e nella musica.
Si tratta di compiere un passaggio, molto complesso, ancora incerto per vari aspetti, dalle implicazioni gigantesche. Si tratta di capire se siamo ancora nel punto da cui si parte, o se davvero abbiamo iniziato il passaggio. Se saremo capaci di compiere in modo consapevole, responsabile, creativo, bene organizzato, il percorso verso la nuova condizione. Un percorso enormemente impegnativo, difficile, affascinante, necessario, che aprirà una nuova epoca, e comporterà un nuovo modo di vita.
È tempo di indicare tutte le decisioni. Di definire tutte le implicazioni per i settori produttivi.
Di analizzare e presentare gli obiettivi di creazione dei posti di lavoro per gli anni a venire.